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Autostrada Roma-Latina (sulla carta), l’ultima beffa: zero ristori per la gara incompiuta

Il Consiglio di Stato cancella anche il rimborso simbolico che il Tar aveva riconosciuto alla cordata guidata da Impregilo (Webuild) dopo l’interruzione del maxi Pf da 2,7 miliardi

 

Il Consiglio di Stato mette la parola fine al defatigante contenzioso attorno al maxi progetto della Roma-Latina in project financing. L’iniziale progetto di questa infrastruttura, da 2,7 miliardi, è morto e sepolto da tempo e la sua anima si trova ora nell’affollato paradiso delle opere pubbliche mai fatte. Mancava però la pietra tombale. Ci ha pensato il Consiglio di Stato, con   la pronuncia n.1404/2024   pubblicata il 12 febbraio scorso. La sentenza segue il doppio doppio appello promosso dalla società Autostrade del Lazio Spa, in liquidazione, e poi anche (in via incidentale) da Webuild, candidato all’appalto dell’infrastruttura. Al centro della diatriba non c’è più l’opera bensì il rimborso vantato dalle imprese per le consistenti spese sostenute inutilmente.

Vale la pena ricordare almeno le principali tappe di questa lunga storia. La gara in Pf bandita nel 2011 viene inizialmente aggiudicata al Consorzio Sis nel 2016. La cordata seconda classificata, guidata dall’allora Impregilo, ingaggia subito una battaglia legale, riuscendo a disarcionare il concorrente primo qualificato, a prezzo però di invalidare in parte la procedura. Il Consiglio di Stato decide infatti che l’iter debba riprendere dalla fase della presentazione delle offerte. A questa prima sentenza decisoria del 2018 segue, l’anno successivo, una sentenza “applicativa” con la quale il secondo giudice indica i passi da fare. Ma intanto – e per “intanto” si intende un periodo che abbraccia circa quattro anni – il vento è cambiato. Il governo attua la “project review” dell’opera, cambiando impianto e procedura. Una parte del tracciato esce dal progetto – modificando previsioni di traffico e di redditività – e viene archiviata la finanza di progetto. Nel 2021 Autostrade del Lazio revoca la gara, negando le indennità pretese dai concorrenti. In sintesi, quel progetto muore, sostituito dal nuovo progetto (oggi affidato a un commissario). Ma la battaglia legale prosegue.

Webuild, sia in proprio sia come capogruppo dell’Ati concorrente, impugna la revoca al Tar, concentrandosi però sulla sola richiesta di indennizzo, non contestando cioè il merito della decisione. L’Ati chiede oltre 5,8 milioni di euro di ristoro “base”, più altre somme a causa «del mancato utile da perdita di chanche, il tutto oltre rivalutazione monetaria ed interessi». Il Tar Lazio – con  la pronuncia n.7521/2023  – riconosce un ristoro di 50mila euro, a compenso della revoca ex articolo 21 della legge 241/1990. Una beffa, anche considerando le sole spese legali sostenute. Ma le sorprese non sono finite.

Autostrade del Lazio, attraverso il suo commissario liquidatore, si oppone e si rivolge al Consiglio di Stato. La stessa cosa fa Webuld, con appello incidentale. E si arriva al verdetto del 12 febbraio scorso in cui il Consiglio di Stato, accogliendo il ricorso della Spa in articulo mortis, decide che no, alle imprese concorrenti «prequalificate» non spetta neanche un euro di ristoro: è il rischio di impresa, bellezza. Anzi, Webuild deve pagare a Adl 4mila euro di «spese di lite». Forse, dal suo Valhalla, l’autostrada mai nata guarda le complicate vicende umane, e sorride.

Ma cosa ha detto esattamente il Consiglio di Stato? Il ragionamento sviluppato dai giudici della Quinta Sezione tiene conto degli aspetti peculiari di questa lunga e complessa vicenda. Si individuano due fasi di questa lunga storia con al centro la sentenza spartiacque del 2018 del Consiglio di Stato. Gli operatori – affermano i giudici – avrebbero dovuto chiedere «il risarcimento dei costi sostenuti per la presentazione delle offerte nel periodo 2015-2018, nel termine di cui all’articolo 30 c.p.a., a seguito dell’annullamento disposto dal Consiglio di Stato con la sentenza n.5374 del 2018». Non avendolo fatto, hanno perso per sempre questo diritto. Quanto al periodo successivo non ci sono ristori da dare perché non ci sono state spese, essendo la procedura prima fermata e poi revocata da Adl (correttamente, secondo Palazzo Spada).

Il secondo giudice concorda con il Tar sul fatto che «le spese di partecipazione alla gara vanno escluse ai fini dell’eventuale risarcimento, e a maggior ragione ai fini indennitari, trattandosi, dunque di esborsi riconducibili ad un rischio imprenditoriale connaturato alla partecipazione alle gare, come anche i costi relativi alla costituzione delle garanzie fideiussorie». Poi però Palazzo Spada si discosta dal Tar, affermando «che il diritto al risarcimento vantato dall’ATI Webuild vada totalmente escluso, e che, nella specie, non sussistono neppure i presupposti per il riconoscimento dell’indennizzo ex art. 21 quinquies L. 241 del 1990».

Come si arriva a questa conclusione? Il secondo giudice premette che l’articolo citato si fonda su elementi fattuali che determinano un mutamento dell’originario interesse pubblico e, dunque, giustificano la revoca dell’atto amministrativo. Nel caso della Roma-Latina quell’elemento è ben individuato: «sin dall’ottobre del 2020 – ricorda la sentenza – il Ministero delle Infrastrutture aveva ritenuto opportuna la project review dell’intervento alla luce del sostanziale mutamento dei presupposti del progetto posto a base di gara, come approvato dal CIPE con delibera n.51/2013, considerati i mutati flussi veicolari, nonché l’avvenuta realizzazione della complanare dell’autostrada Roma-Fiumicino, originariamente prevista nel predetto progetto». La novità è sostanziale: «Autostrade del Lazio – aggiungono i giudici – ragionevolmente, ha ritenuto che il progetto a base della gara, risalente a dieci anni prima “ad oggi non è più in grado di assicurare il soddisfacimento dei mutati fabbisogni espressi dalla collettività”».

Resta da capire se dopo la sentenza del 2018, che ha decretato la ripresa della procedura a partire dalla fase della presentazione delle offerte, sia giustificato «un legittimo affidamento (di Webuild, ndr) sugli avvii delle future trattative». La risposta, anche in questo, è no: «La posizione di “concorrente prequalificato” – conclude il Consiglio di Stato – non dà diritto ad un alcun risarcimento nel caso in cui non si giunga, legittimamente (come nella specie), alla indizione della gara, atteso che tale posizione anche se differenzia in qualche modo il partecipante, non ne modifica il ruolo che rimane quello di potenziale concorrente, e come tale non configura un affidamento idoneo a consolidare una posizione suscettibile di fondare una responsabilità da parte dell’Amministrazione, stante l’assenza, in questa fase primordiale della procedura, di qualsiasi rapporto definibile come negoziale». Amen.

 

 

FONTI      Massimo Frontera     “Enti Locali & Edilizia”

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