Il percorso di questi prodotti dalla progettazione alle strutture complete
Dalla progettazione alla posa in opera, passando per la produzione e il trasporto. Semplificando all’estremo, sono almeno quattro le fasi che portano pilastri e travi di calcestruzzo prefabbricato a trasformarsi in strutture in grado di tenere in piedi edifici. Mentre la cronaca legata al drammatico incidente di Firenze porta dettagli sempre nuovi sulle indagini in corso, è utile conoscere la vita di questi prodotti, per capire quali sono le fasi più delicate della loro lavorazione.
Le certificazioni
La premessa è che, rispetto ai fatti di questi giorni, nessuno degli esperti si azzarda a fare ipotesi su quanto può essere accaduto; sarà lavoro degli inquirenti. Di quello che avviene di norma nei cantieri parla, però, anzitutto il presidente del Consiglio nazionale degli ingegneri, Domenico Perrini: «Tutto parte da un progetto che viene fornito alla società che fa prefabbricazione. Sulla base del progetto, i prefabbricati vengono realizzati all’interno dell’azienda e non in cantiere e vengono accompagnati da certificati di origine, molto approfonditi e controllati».
Sulle certificazioni, Paolo Riva dell’università di Bergamo spiega: «Gli elementi prefabbricati sono marcati Ce, sono soggetti a una famiglia di normative europee che decreta tutta una serie di controlli che consentono di arrivare alla marcatura. Dal punto di vista della qualità del prodotto, l’elemento prefabbricato porta ampie garanzie». I controlli riguardano, ad esempio, i processi produttivi e i materiali. Viene, poi, certificata la conformità del prodotto al progetto specifico nel quale sarà utilizzato.
Così, anche Andrea Barocci, presidente di Ingegneria sismica italiana (Isi), dice: «Le tecnologie prefabbricate sono sempre più utilizzate proprio per ridurre le incertezze in cantiere, ottimizzare i processi e aumentare la sicurezza». Ancora Riva: «Su un prodotto prefabbricato la probabilità di un calcestruzzo scadente è impossibile. Il solo fatto che debba essere movimentato dopo poche ore dalla realizzazione garantisce che i materiali siano sempre di elevatissime caratteristiche meccaniche. I prefabbricati realizzati in stabilimento sono sicuramente molto performanti».
Il cantiere
Quindi, la fase di produzione è quella che presenta meno elementi critici. «Il trasporto e la messa in opera – sottolinea Perrini – sono invece le fasi che presentano criticità. Lo spostamento dei questi prodotti può determinare problemi e danni, anche piccoli. Soprattutto, però, è la fase di montaggio che può essere critica, anche se va detto che le procedure sono standardizzate. Ad esempio, i pilastri hanno un dente sul quale si appoggiano le travi. L’appoggio della trave sul dente è un passaggio molto delicato, perché bisogna manovrare questi grossi manufatti e sistemarli in maniera perfetta».
Ancora Riva: «La delicatezza consiste nel fatto che tra la prima posa in opera e la struttura finita possono esserci dei getti integrativi. Semplificando, la struttura può essere completata come un libreria da montare: c’è un momento transitorio nel quale i fissaggi della libreria e della struttura non sono ancora completi e in quella fase naturalmente ci sono dei pericoli». Aggiunge Massimo Mariani, ingegnere esperto nel consolidamento di edifici: «Nell’operazione di movimentazione c’è una particolare delicatezza, perché la trave può cadere o può spezzare l’appoggio, oppure può essere posizionata su un appoggio che non era saldo».
La direzione lavori
Prima di arrivare alla posa in opera, però, il prefabbricato viene consegnato in cantiere. E qui è centrale il ruolo del direttore dei lavori. «Il direttore lavori, professionista di fiducia della committenza – continua Barocci – prima della posa dell’elemento controlla che quest’ultimo abbia le certificazioni di legge e i documenti attestanti la rispondenza con le ipotesi progettuali. La procedura è solida e permette di raggiungere il rispetto delle norme, le ipotesi progettuali e le aspettative prestazionali».
L’elemento – aggiunge Riva – «deve essere accettato, non deve mostrare segni di danno. Occasionalmente può succedere che ci siano questi danni e di solito sono legati alla movimentazione». Continua Perrini: «Il direttore dei lavori deve verificare se il materiale è certificato. Eventuali danni durante il trasporto possono essere l’unico problema in questa fase».
Subappalti e interferenze
Riassumendo, allora, trasporto e posa in opera (soprattutto quest’ultima) sono le fasi che, per tutti gli esperti, presentano i rischi maggiori. Un punto, però, viene sottolineato da Mariani: «Quando ci sono possibilità di errori, sulla verticale del lavoro non ci deve essere nessuno. Sotto questi manufatti, in fase di spostamento, non devono esserci persone».
Veniamo, allora, a un aspetto sottolineato da Perrini, anche attraverso una nota dei giorni scorsi: le interferenze in cantiere. «Il subappalto a catena è un problema che noi abbiamo già rilevato quando abbiamo parlato del Codice appalti. Il primo problema è che, se c’è un subappalto a catena, i costi vengono ridotti progressivamente. Inoltre, coordinare tanti subappaltatori diventa estremamente complesso, soprattutto dal punto di vista della sicurezza. In concreto, se ci sono tante lavorazioni e le lavorazioni avvengono nello stesso sito, è chiaro che quello rappresenta un grosso rischio. Il pericolo di un incidente aumenta in modo esponenziale».
Quindi, conclude Perrini, «più che lavorare sulle sanzioni bisogna insistere sulla formazione e sull’informazione, che riguarda tutti. Ma soprattutto sull’applicazione in concreto delle normative che abbiamo e che sono già molto rigorose».
FONTI Giuseppe Latour “Enti Locali & Edilizia”
