C’è un argomento ancora non considerato che ostacola il ritorno dei vecchi minimi nei contratti pubblici: il divieto di abrogazione implicita del codice 36
Il tema dell’applicazione (o meno) della disciplina sull’equo compenso dettata dalla legge 49/2023 alle attività di progettazione (e servizi affini) affidate ai sensi del Dlgs 36/2023 continua a suscitare un acceso dibattito, e anche molta confusione tra le stazioni appaltanti e gli operatori.
Come noto l’Anac nel Documento di consultazione del Bando tipo relativo all’affidamento dei servizi di progettazione ha prospettato tre possibili alternative: a) l’importo a base di gara è in termini assoluti escluso dalla possibilità di ribasso; b) sono soggette a ribasso solo le spese generali; c) l’intero importo a base di gara è ribassabile, sul presupposto che la legge sull’equo compenso non trovi applicazione agli affidamenti dei servizi di progettazione operati ai sensi del Dlgs 36.
In attesa che venga operata la scelta a favore di una delle tre soluzioni indicate, vi è attualmente una zona grigia rispetto alla quale ogni stazione appaltante sta assumendo posizioni autonome e diverse, con una conseguente situazione di estrema confusione.
È quindi necessario che la tematica venga risolta il più velocemente possibile, anche per evitare il proliferare di occasioni di contenzioso.
La questione controversa
Il nucleo centrale della questione è noto, ed è così sintetizzabile. L’articolo 41, comma 15 del Dlgs 36/2023 rinvia all’Allegato I.13 ai fini della determinazione dei corrispettivi per le fasi progettuali da porre a base degli affidamenti dei servizi di ingegneria e architettura. A maggiore chiarezza, la stessa disposizione prevede che tali corrispettivi sono utilizzati dalle stazioni appaltanti e dagli enti concedenti ai fini dell’individuazione dell’importo da porre a base di gara.
Il dato letterale è quindi inequivoco: i corrispettivi definiti dall’Allegato I.13 sono funzionali esclusivamente a determinare l’importo da porre a base di gara, che quindi può essere oggetto di ribasso da parte dei concorrenti.
Rispetto a questa esplicita indicazione normativa, è successivamente intervenuta la legge 49/2023 a disciplinare l’equo compenso delle prestazioni professionali. Questa disciplina introduce il principio che il compenso da riconoscere ai professionisti per l’opera prestata deve essere equo e proporzionato, prevedendo altresì la nullità delle clausole che stabiliscono un compenso che non rispetti tali criteri. In particolare, vengono considerate nulle le clausole che determinino un compenso non in linea con i parametri definiti dagli ordini e collegi professionali, stabiliti con decreto ministeriale.
In sostanza: i corrispettivi definiti con il decreto ministeriale – come rivisto e adattato dall’Allegato I.13 – sono considerati dal Dlgs 36 come importi da porre a base di gara, come tali suscettibili di ribasso; al contrario per la legge 49/2023 gli stessi sono minimi inderogabili, nel senso che non sono ribassabili in quanto l’affidamento dei servizi di progettazione deve avvenire necessariamente sulla base del corrispettivo definito dal decreto ministeriale.
Equo compenso e servizi di progettazione
La tesi della prevalenza della disciplina del Dlgs 36 e quindi della non applicabilità della normativa sull’equo compenso ai servizi di progettazione affidati ai sensi di detto Decreto si fonda su una serie di argomenti, peraltro puntualmente ripresi dall’Anac nell’illustrazione delle ragioni a sostegno della terza opzione tra quelle indicate.
Oltre a tali ragioni, vi è tuttavia un ulteriore dato che assume rilievo assolutamente centrale e che fino ad oggi è stato trascurato nel dibattito che si è sviluppato sul tema.
Ci si riferisce alla previsione contenuta all’articolo 227 del Dlgs 36, che dispone testualmente: «Ogni intervento normativo incidente sulle disposizioni del codice e dei suoi allegati, o sulle materie dagli stessi disciplinate, è attuato mediante esplicita modifica, integrazione, deroga o sospensione delle specifiche disposizioni in essi contenute».
Nella relazione accompagnatoria al Dlgs 36 del Consiglio di Stato, si specifica che tale previsione «pone un principio di modificabilità solo esplicita delle disposizioni contenute nel codice e nei suoi allegati», precisando poi, come naturale conseguenza di tale principio, che «vale il criterio ermeneutico che, nei casi dubbi, impone di escludere l’ammissibilità di ipotesi di abrogazione implicita».
Il dato che emerge con nettezza dalla disposizione normativa e dalla relazione accompagnatoria è che tutte le norme contenute nel corpo del Dlgs 36 e negli allegati non possono essere oggetto di abrogazione implicita. Ciò significa che per farle venire meno occorre un’abrogazione esplicita, cioè l’indicazione puntuale della disposizione che si intende abrogare contenuta in un’altra legge o altro atto avente forza di legge.
Altrettanto significativa è l’altra indicazione che si ricava dalla Relazione. Nei casi dubbi, il criterio interpretativo porta ad escludere che si possa optare per l’abrogazione implicita. Si tratta di un’indicazione che è pienamente aderente alla fattispecie dell’equo compenso: nel caso in cui la legge sopravvenuta sull’equo compenso ponga un dubbio sulla sua compatibilità con la precedente disposizione contenuta nel Dlgs 36, tale dubbio non può essere risolto ritenendo che vi sia stata un’abrogazione implicita di questa seconda da parte della prima.
In sostanza, se il legislatore avesse voluto con l’entrata in vigore della legge sull’equo compenso introdurre le tariffe minime e inderogabili per l’effettuazione dei servizi di progettazione avrebbe dovuto esplicitamente abrogare o modificare la disposizione contenuta nell’articolo 41, comma 15 del Dlgs 36, che al contrario prevede che tali tariffe costituiscono solo il parametro per la determinazione dell’importo a base di gara.
Il divieto di abrogazione implicita
La tutela rafforzata che l’articolo 227 del Dlgs 36 ha introdotto per tutte le disposizioni del Codice, imponendo che le stesse debbano essere oggetto di abrogazione o modifica esplicita – che riprende peraltro analoghe previsioni contenute nei due Codici precedenti – costituisce una tecnica legislativa che negli ultimi anni ha trovato significativo spazio in relazione a determinate materie.
Si tratta di una previsione che viene spesso inserita nelle leggi «di sistema», cioè in quelle leggi destinate a regolare in maniera organica e completa una determinata materia (ad esempio lo Statuto del contribuente piuttosto che numerosi Testi unici).
Non si tratta solamente di un elemento formale, ma di una scelta legislativa di sostanza, che risponde a una logica ben definita. Viene infatti introdotta una sorta di “riserva di abrogazione espressa”, diretta a garantire nella massima misura possibile la certezza del diritto, specie in relazione a provvedimenti legislativi complessi e articolati.
Il caso oggetto di attenzione offre piena evidenza di tale ratio. L’incertezza in merito alla norma da applicare nasce proprio dal fatto che la legge sull’equo compenso non ha previsto in maniera esplicita l’abrogazione o la modifica della disposizione del Dlgs 36. Il che significa – letta al contrario – che la certezza del diritto è assicurata solo con l’abrogazione esplicita, che in questo caso non vi è stata.
Queste considerazioni assumono peraltro un rilievo ancora più significativo in una materia come quella dei contratti pubblici, che ha tradizionalmente tra i suoi cardini fondamentali il principio di concorrenzialità. La disciplina sull’equo compenso rappresenta infatti un’oggettiva limitazione al pieno dispiegarsi di tale principio, poichè impedisce che l’elemento prezzo svolga qualunque tipo di ruolo ai fini dell’affidamento del contratto.
In questo quadro trova rinnovato spazio l’argomento secondo cui, in coerenza con l’espressa formulazione sella legge sull’equo compenso, quest’ultima debba trovare applicazione esclusivamente in relazione alle prestazioni professionali che si inquadrano nell’ambito del contratto d’opera intellettuale di cui all’articolo 2230 del Codice civile. Mentre, al contrario, la stessa disciplina non troverebbe applicazione agli appalti di servizi, che sono la tipologia contrattuale oggetto di affidamento ai sensi del D.lgs.36. Distinzione ben chiara nell’elaborazione giurisprudenziale, anche della Corte di Cassazione (vedi la recentissima Cass. Civile, Sez. II, Ordinanza 9 febbraio 2024, n. 3682).
Conclusioni
Le considerazioni svolte portano a una conclusione. Nel quadro normativo attuale continua ad avere vigore – in quanto non oggetto di abrogazione o modifica esplicita – la disposizione dell’articolo 47, comma 15 del Dlgs 36 che, nel rinviare per la determinazione dei corrispettivi dei servizi di ingegneria a quanto indicato nell’Allegato I.13, qualifica tali corrispettivi come importi da porre a base di gara (quindi soggetti a ribasso).
Qualora il legislatore ritenesse di voler modificare questo assetto normativo, dovrebbe intervenire con un nuovo provvedimento legislativo che esplicitamente contenga l’abrogazione o la modifica dell’articolo 47, comma 15.
Fermo restando – ma questo profilo apre tematiche ancora più complesse – la verifica in merito alla compatibilità comunitaria di una legge nazionale che nei fatti verrebbe a reintrodurre il concetto di «tariffe minime» per lo svolgimento dei servizi di progettazione
FONTI Roberto Mangani “Enti Locali & Edilizia”
