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Principi di risultato e fiducia: il traguardo sostanziale conta più del rispetto formale delle procedure

Il Consiglio di Stato spiega ancora una volta come vanno interpretate le indicazioni poste alla base base del nuovo codice: stop al formalismo ma senza azzerare le regole

 

Il possesso delle certificazioni di qualità per lo svolgimento del servizio oggetto di affidamento, qualificabile in base alle previsioni della legge di gara come requisito di esecuzione, non deve essere necessariamente dimostrato al momento della partecipazione alla gara. Di conseguenza, non può essere escluso il concorrente che in sede di gara abbia dichiarato di essere “in attesa” del rilascio di tali certificazioni, in coerenza con quanto consentito dalla documentazione di gara.

Questa conclusione trova riscontro e rafforzamento alla luce di principi generali del risultato e della fiducia introdotti dagli articoli 1 e 2 del Dlgs 36/2023, e che tuttavia rappresentano una chiave interpretativa anche della disciplina previgente.

Sono queste le affermazioni più rilevanti contenute nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. V, 1 ottobre 2024, n. 7875, che torna ancora una volta sulla forza espansiva dei principi del risultato e della fiducia, indirizzati a un’interpretazione delle norme procedurali orientata più al raggiungimento del risultato sostanziale che al mero rispetto formale delle regole.

Il fatto
Un ente appaltante aveva bandito una gara per l’affidamento della gestione di un lido. Il relativo disciplinare prevedeva che gli operatori dovessero essere in possesso delle certificazioni di qualità. Nel modulo di domanda di partecipazione predisposto dalla stazione appaltante ai fini delle autodichiarazioni da rendere in sede di gara, era previsto che i concorrenti, relativamente alle certificazioni di qualità richieste, potessero dichiarare che le stesse erano “in corso di validità” o “in attesa di rilascio”. A seguito dell’intervenuta aggiudicazione il concorrente secondo classificato proponeva ricorso davanti al giudice amministrativo.

Il principale motivo di ricorso era rappresentato dalla mancata esclusione dell’aggiudicatario per la ritenuta carenza della certificazione di qualità richiesta dal disciplinare di gara. Il ricorrente evidenziava infatti che la stessa era stata ottenuta solo successivamente alla scadenza del termine di presentazione della domanda di partecipazione, quindi non in tempo utile per legittimare la partecipazione stessa.

Il Tar Puglia respingeva il ricorso. Premetteva che ai fini della soluzione della questione prospettata dal ricorrente occorre distinguere i requisiti di partecipazione, necessari ai fini della partecipazione alla gara, dai requisiti di esecuzione, che rilevano esclusivamente ai fini della successiva fase di esecuzione del contratto. Secondo il giudice amministrativo di primo grado le certificazioni di qualità richieste erano da ritenere – anche sulla base della specifica disciplina contenuta nel disciplinare – requisiti di esecuzione, potendo quindi essere acquisite dai concorrenti anche successivamente alla conclusione della gara. Di conseguenza, il fatto che l’aggiudicatario al momento della partecipazione alla procedura non fosse ancora in possesso di tali certificazioni che erano tuttavia in fase di rilascio, non poteva essere considerato un legittimo motivo di esclusione.

L’appello al Consiglio di Stato
La sentenza del Tar Puglia è stata impugnata davanti al Consiglio di Stato. L’appellante ricorda che l’aggiudicatario aveva dichiarato in sede di gara di essere in attesa del rilascio delle certificazioni di qualità, ma in realtà alla data della dichiarazione lo stesso non aveva ancora neanche avviato l’iter per il riconoscimento delle stesse. Da ciò avrebbe dovuto conseguire l’esclusione del concorrente.

Il possesso della certificazione di qualità infatti – diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado – era da qualificarsi come un requisito di partecipazione e non di esecuzione. Ciò premesso, lo stesso giudice sarebbe incorso in un ulteriore errore in quanto avrebbe interpretato la locuzione “in attesa di rilascio” come idonea a consentire la partecipazione alla gara anche ai concorrenti che non avevano neanche avviato il procedimento per l’ottenimento delle certificazioni, mentre in realtà l’avvio di tale procedimento costituiva la condizione minima ai fini della partecipazione, e in questo senso doveva essere intesa la locuzione utilizzata dall’ente appaltante.

Peraltro, anche a voler accedere alla ricostruzione del primo giudice secondo qui si tratterebbe di un requisito di esecuzione, lo stesso – secondo la giurisprudenza consolidata – dovrebbe comunque essere posseduto al momento dell’aggiudicazione o tuttalpiù al momento della relativa verifica. Mentre nel caso di specie l’inizio dell’attività, come certificato dal rilascio del relativo provvedimento autorizzativo, è intervenuto in data anteriore al conseguimento della certificazione di qualità.

Il Consiglio di Stato
Il Consiglio di Stato ha respinto l’appello, confermando quindi la correttezza della sentenza di primo grado. Secondo il Consiglio di Stato non può essere condivisa la tesi dell’appellante secondo cui l’aggiudicatario doveva necessariamente essere in possesso della certificazione di qualità, già formalmente conseguita, al momento della scadenza del termine per la partecipazione alla gara. Né si può accedere all’ulteriore prospettazione secondo cui a tale momento doveva quanto meno essere stato già avviato l’iter procedurale per l’ottenimento della certificazione. La locuzione “in attesa di rilascio” utilizzata nella documentazione di gara non può infatti essere intesa, se non con una forzatura interpretativa, come “in corso di rilascio”.

Va anche condivisa l’affermazione – fondamentale ai fini della soluzione della questione controversa – secondo cui il possesso della certificazione di qualità va qualificato come requisito di esecuzione e non di qualificazione.

Questa accezione risponde alla ratio evidenziata dall’ente appaltante, da individuarsi nella volontà di non restringere eccessivamente la platea dei potenziali concorrenti, consentendo agli operatori interessati di attivarsi tempestivamente per il conseguimento di tali certificazioni qualora non ne fossero in possesso, al fine di conseguirle in tempi compatibili con l’effettivo avvio delle prestazioni. In quest’ottica, il comportamento dell’aggiudicatario che ha dimostrato di aver avviato prontamente l’iter procedurale per il rilascio delle certificazioni non appena avuto notizia della procedura di gara deve considerarsi coerente con i principi di cooperazione e responsabilità.

Infine, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante, il requisito di esecuzione deve essere posseduto al momento dell’effettivo avvio delle prestazioni, essendo sufficiente che all’atto della stipula del contratto l’aggiudicatario abbia dimostrato di aver avviato l’iter procedurale per l’ottenimento delle certificazioni di qualità e di aver posto in essere tutti gli adempimenti di propria competenza.

Il principio del risultato e il principio della fiducia
A questo punto del ragionamento il Consiglio di Stato introduce un argomento che, per espressa affermazione dello stesso giudice, viene considerato decisivo ai fini della decisione accolta. Tale argomento fa riferimento ai principi del risultato e della fiducia espressamente consacrati dal Dlgs 36.

Ricorda che il principio del risultato comporta che lo stesso costituisca criterio prioritario per l’esercizio del potere discrezionale e l’individuazione della regola del caso concreto (articolo 1). Ciò implica che gli enti appaltanti debbano ispirare le proprie scelte, anche in fase di gara, al raggiungimento del risultato sostanziale piuttosto che a una lettura meramente formale delle norme e delle regole da applicare.

Il principio della fiducia valorizza l’autonomia decisionale dei funzionari pubblici, ampliandone i poteri valutativi e la discrezionalità amministrativa, in chiave di funzionalizzazione verso il perseguimento del miglior risultato possibile (articolo 2).

Proprio in relazione a tale ultima specificazione, l’ampliamento dell’autonomia decisionale e della discrezionalità amministrativa non può tradursi in scelte che, aderendo a una interpretazione formalistica delle regole di gara, si pongano in contrasto con l’obiettivo di perseguire il miglior risultato possibile ai fini del più efficace raggiungimento dell’interesse pubblico.

Nel caso di specie le scelte operate dall’ente appaltante appaiono del tutto coerenti con i principi indicati. L’ente ha infatti verificato che l’iter procedurale per l’ottenimento delle certificazioni di qualità era stato correttamente avviato e stava per concludersi, non sussistendo quindi alcuna valida ragione per non affidare le prestazioni all’operatore che, all’esito della gara, era risultato quello che aveva presentato l’offerta ritenuta migliore.

Né può essere considerato un ostacolo il fatto che il provvedimento autorizzativo dell’inizio dell’attività avesse acquistato efficacia un mese prima del rilascio delle certificazioni di qualità. Rinvenire in tale circostanza un elemento preclusivo all’affidamento delle prestazioni all’operatore economico classificato primo in graduatoria rappresenta infatti proprio un esempio di quel “vuoto formalismo” che si pone in contrasto con il principio del risultato.

Da ultimo, va evidenziato che il Dlgs 36, dando consacrazione formale ai principi del risultato e della fiducia, ha in realtà reso esplicito ciò che era già immanente al sistema. Di conseguenza, i suddetti principi possono ben costituire una chiave interpretativa per orientare soluzioni relative a fattispecie sorte anche prima dell’entrata in vigore del Dlgs 36.

La forza espansiva dei principi
La pronuncia del Consiglio di Stato si colloca coerentemente in quell’orientamento che si va sempre più affermando che tende a valorizzare al massimo i principi del risultato e della fiducia nell’interpretazione delle regole della gara. La valorizzazione di tali principi porta a privilegiare la sostanza – cioè il raggiungimento del risultato sostanziale che si intende perseguire con l’affidamento – piuttosto che il rispetto formale delle procedure, cioè la pedissequa applicazione delle regole anche laddove ciò entri in conflitto con il più efficace perseguimento del miglior interesse pubblico.

In termini generali si tratta di un approccio del tutto condivisibile, che tende a superare quell’orientamento – che in passato ha caratterizzato un ampio filone giurisprudenziale – tutto volto a salvaguardare la forma delle procedure anche laddove la stessa finiva per confliggere con il perseguimento più efficace dell’interesse pubblico in termini di risultato.

È tuttavia necessario che tale approccio sia interpretato nella sua corretta accezione. La sua valorizzazione non significa consentire la violazione delle regole procedurali, quanto piuttosto legittimare una loro interpretazione funzionale al più efficace perseguimento dell’interesse pubblico al cui soddisfacimento la gara è indirizzata.

L’equilibrio tra il rigoroso rispetto delle regole formali e il raggiungimento del risultato sostanziale viene spostato a favore del secondo. Ma ciò non significa azzerare le regole, che restano comunque un presidio del corretto svolgimento della procedura. Se si volle sintetizzare questo approccio, si potrebbe dire che esso tende a salvaguardare la forma ma non il formalismo. Si tratta di un cambiamento profondo, i cui effetti sul sistema dei contratti pubblici si stanno già evidenziando, ma che andrà attentamente monitorato in futuro nella sua forza espansiva.

 

 

 

FONTI    Roberto Mangani   “Enti Locali & Edilizia”

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