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Revoca dell’aggiudicazione, il principio di fiducia impone di motivarla meglio

Ma per il Tar Puglia la Pa mantiene un’ ampio margine di discrezionalità soprattutto in caso di proposta e non di aggiudicazione definitiva

 

In materia di revoca della procedura di gara l’ente appaltante gode di ampia discrezionalità, nel senso che la revoca può essere legittimamente disposta per oggettive esigenze di interesse pubblico che devono essere sorrette da adeguate motivazioni, sindacabili solo se irragionevoli o manifestamente illogiche. L’ambito di discrezionalità è ancora più ampio e l’onere motivazionale risulta attenuato nell’ipotesi in cui la revoca intervenga a fronte della semplice aggiudicazione provvisoria, che è atto endoprocedimentale e come tale non crea in capo al concorrente alcun legittimo affidamento all’aggiudicazione definitiva né tanto meno alla stipula del contratto.

Si è espresso in questi termini il Tar Puglia, Sez. I, 24 settembre 2024, n. 1000, con una pronuncia che ribadisce alcuni orientamenti sufficientemente consolidati ma che suggeriscono alcune riflessioni se, a seguito delle novità del quadro normativo introdotte dal D.lgs. 36, gli stessi possano essere oggetto di una qualche forma di rivisitazione.

Il fatto
Un ente locale aveva indetto una procedura aperta per l’affidamento di un accordo quadro per i lavori di completamento di un sistema informatico di controllo del traffico, comprensivi della centralizzazione semaforica e della gestione dei varchi. Nel corso dello svolgimento della procedura l’ente appaltante adottava un provvedimento di revoca in autotutela di tutti gli atti della stessa. Con successiva determinazione procedeva poi a indire una nuova gara avente ad oggetto i soli lavori di centralizzazione degli impianti semaforici e dei dispositivi di gestione del traffico.

Il concorrente aggiudicatario provvisorio della prima gara relativa all’accordo quadro impugnava tanto il provvedimento di revoca che gli atti di indizione della nuova gara. Formulava inoltre richiesta di risarcimento del danno ingiusto subito per l’inutile partecipazione alla prima gara e per la mancata esecuzione dei lavori previsti dall’accordo quadro. Nello specifico, il ricorrente contestava la legittimità della revoca per difetto di adeguata motivazione, reclamando il diritto all’aggiudicazione definitiva e alla stipula dell’accordo quadro. Nel contempo, contestava la legittimità dell’indizione della nuova gara, avente un oggetto parzialmente sovrapponibile a quello dell’accordo quadro.

In particolare, la motivazione adottata dall’ente appaltante avrebbe tuttalpiù potuto giustificare lo stralcio di parte dei lavori oggetto dell’accordo quadro, ma non certo la revoca dell’intera procedura. Infatti, la paventata possibilità di perdere il finanziamento poteva essere più efficacemente scongiurata mantenendo in vita l’accordo quadro e affidando separatamente parte dei lavori originariamente ricompresi nello stesso, così da lasciare aperta una duplice possibilità per il completamento degli interventi.

L’ampia discrezionalità dell’ente appaltante nella revoca
Il Tar Puglia ha respinto il ricorso. Il giudice amministrativo ricorda in primo luogo l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la revoca della gara può ritenersi legittimamente disposta dall’ente appaltante in presenza di oggettive esigenze di interesse pubblico, opportunamente documentate ed esplicitate con adeguata motivazione, che rendano evidente l’inutilità o la non convenienza di proseguire con la gara stessa. E ciò non solo per circostanze sopravvenute, ma anche per una rinnovata e diversa valutazione dell’interesse pubblico.

Le valutazioni operate al riguardo dall’ente appaltante appartengono al merito dell’azione amministrativa, come tali insindacabili in sede giurisdizionale se non per manifesta illogicità e irragionevolezza, tali da travalicare il merito e incidere sulla legittimità del provvedimento di revoca.

Peraltro, la discrezionalità dell’ente appaltante risulta ancora più ampia nell’ipotesi in cui lo stato della procedura abbia portato solo all’aggiudicazione provvisoria. Quest’ultima è infatti un atto endoprocedimentale che non ha effetti definitivi, con la conseguenza che la possibilità che l’aggiudicazione provvisoria non si traduca in aggiudicazione definitiva costituisce un evento fisiologico. Di conseguenza, l’intervenuta aggiudicazione provvisoria non è idonea a produrre in capo all’aggiudicatario una forma di affidamento suscettibile di tutela in sede giurisdizionale.

L’ulteriore conseguenza è che non è richiesto ai fini dell’esercizio della revoca uno specifico raffronto tra l’interesse pubblico preminente e quello privato che viene sacrificato e la motivazione alla base del provvedimento di revoca deve avere un contenuto meno significativo se riferita appunto a un iter procedurale che ha portato alla sola aggiudicazione provvisoria.

Il caso di specie: la possibile perdita del finanziamento e il comportamento del concorrente
Secondo il giudice amministrativo, nel caso di specie il provvedimento di revoca adottato dall’ente appaltante risulta del tutto in linea a con i principi richiamati e come tale esente da vizi di legittimità. La revoca è infatti intervenuta a seguito di un’articolata interlocuzione con il concorrente e in particolare in considerazione dell’impossibilità evidenziata dallo stesso di rispettare il cronoprogramma previsto per l’attuazione del primo intervento dell’accordo quadro, che avrebbe comportato per l’ente appaltante il concreto rischio della perdita del finanziamento.

L’impossibilità manifestata dal concorrente – che poteva anche rappresentare un indice della oggettiva difficoltà di realizzare gli interventi secondo la modalità dell’accordo quadro – ha quindi indotto l’ente appaltante a revocare l’intera procedura dell’accordo quadro, al fine di individuare una modalità di attuazione maggiormente aderente alle esigenze contingenti, con l’indizione di una nuova e diversa procedura di gara. E ciò nell’ottica di una migliore tutela dell’interesse pubblico finalizzata anche a evitare la perdita del finanziamento.

Secondo il Tar Puglia il comportamento adottato dall’ente appaltante è esente da censure in quanto, a fronte dello stato della procedura che aveva portato alla sola aggiudicazione provvisoria, vi è stata una rinnovata valutazione della situazione concreta e un ragionevole cambiamento in merito all’individuazione delle più opportune modalità di realizzazione dell’intervento (non più l’accordo quadro ma singoli interventi ognuno oggetto di specifiche procedure di gara).

Il provvedimento di revoca risulta quindi legittimo in quanto congruamente motivato in relazione allo stato della procedura (aggiudicazione provvisoria) e del conseguente limitato affidamento ingenerato nel concorrente. Esso rappresenta in maniera esaustiva le ragioni che hanno portato l’ente appaltante a una rinnovata valutazione di opportunità e convenienza, non manifesta illogica o irragionevole e come tale sottratta al sindacato del giudice amministrativo.

Da quanto detto deriva anche l’infondatezza della domanda avanzata dal concorrente volta a ottenere il risarcimento dei danni a titolo di responsabilità precontrattuale dell’ente appaltante. Non risultano infatti violate da parte di quest’ultimo le regole di correttezza e buona fede nello svolgimento delle trattative né alcuna ingiustificata interruzione delle stesse, con la conseguente impossibilità di imputare all’ente appaltante alcuna forma di colpevole responsabilità neanche a titolo meramente precontrattuale.

Per completezza, il Tar Puglia esclude anche la possibilità di riconoscere al concorrente un indennizzo ai sensi dell’articolo 21 – quinquies della legge 241/90 – che lo prevede in caso di revoca di un atto della pubblica amministrazione che abbia comportato un pregiudizio al privato – in quanto la giurisprudenza consolidata lo ammette solo in relazione alla revoca di atti definitivi a effetti durevoli, e non ad atti instabili e interinali, quale è appunto l’aggiudicazione provvisoria.

La revoca della gara alla luce del Dlgs 36/2023
La pronuncia in commento – che si pone in linea con l’orientamento giurisprudenziale consolidato – offre l’opportunità di operare qualche riflessione volta a verificare se le affermazioni svolte mantengano intatta la loro validità anche a seguito del nuovo quadro regolatorio delineato al Dlgs 36 ovvero debbano essere riviste almeno per alcuni aspetti.

Le valutazioni vanno operate con riferimento a due specifici profili: l’esercizio del potere di revoca da un lato a fronte di una mera aggiudicazione provvisoria e dall’altro tenuto conto dei principi generali in materia di contratti pubblici per la prima volta codificati dal Dlgs 36.

Sotto il primo profilo, in realtà il Dlgs 36 non introduce particolari novità rispetto alla disciplina previgente. L’articolo 17, comma 5 stabilisce infatti che l’organo preposto alla valutazione delle offerte formula una proposta di aggiudicazione, che viene portata all’attenzione dell’organo dell’ente appaltante deputato a disporre l’aggiudicazione, che la esamina ed eventualmente l’approva dopo aver proceduto alla verifica dei requisiti. In sostanza, non vi è più spazio per l’aggiudicazione provvisoria ovvero – in termini pratici – quest’ultima viene sostituita, sia pure in termini non perfettamente sovrapponibili, con la proposta di aggiudicazione.

In realtà come detto questo iter procedurale ricalca quanto già previsto dal Dlgs 50, che prevedeva anch’esso una proposta di aggiudicazione da sottoporre all’approvazione dell’organo deliberante dell’ente. Ne consegue che il riferimento all’aggiudicazione provvisoria che sovente si è continuato ad utilizzare nella vigenza del Dlgs 50 – come accaduto nel caso di specie – non risponde in termini corretti a quanto previsto dalla normativa.

Tuttavia, al netto di questa puntualizzazione, le considerazioni sull’esercizio del potere di revoca formulate in relazione alla semplice aggiudicazione provvisoria – più correttamente alla proposta di aggiudicazione – restano valide anche dopo l‘entrata in vigore del Dlgs 36.

Diverso e più articolato si presenta il discorso con riferimento alla sopravvenuta codificazione dei principi generali ad opera dello stesso Dlgs 36. Vengono in rilievo in particolare il princpio del risultato (articolo 1), il principio della fiducia (articolo 2) e il principio di buona fede e di tutela dell’affidamento (articolo 5).

Nello specifico il principio del risultato impone di perseguire nell’affidamento e nell’esecuzione del contratto il miglior risultato possibile alla luce dei parametri della massima tempestività e del miglior rapporto qualità prezzo. Il principio della fiducia valorizza l’autonomia decisionale degli enti appaltanti e per essi dei funzionari pubblici, nell’ottica della reciproca fiducia all’esercizio legittimo, trasparente e corretto dell’azione amministrativa. Il principio di buona fede e di tutela dell’affidamento comporta che lo stesso deve improntare i rapporti tra ente appaltante e concorrenti (comma 1), specificandosi al comma 2 che nell’ambito del procedimento di gara ciò comporta che – anche prima dell’aggiudicazione – sussiste un affidamento dell’operatore economico sul legittimo esercizio del potere e sulla conformità del comportamento amministrativo al principio di buona fede.

È proprio il riferimento da ultimo riportato che induce qualche ulteriore riflessione in merito al corretto esercizio del potere di revoca in corso di gara. La specificazione secondo cui il principio in questione debba operare pienamente anche prima dell’aggiudicazione sembra infatti voler rafforzare il legittimo affidamento del concorrente durante la procedura di gara, anche prima – e tanto più a seguito – della formalizzazione della proposta di aggiudicazione (o aggiudicazione provvisoria).

La maggiore tutela riconosciuta all’affidamento del concorrente non significa certo che l‘ente appaltante non possa esercitare il potere di revoca, ma porta a ritenere che debba essere rafforzata la motivazione che giustifica tale revoca.

In definitiva, si può affermare che in particolare i principi generali della fiducia e di buona fede e tutela dell’affidamento comportino che il provvedimento di revoca debba avere una motivazione più articolata e compiuta che in passato, con l’effetto indotto di ampliare il sindacato del giudice amministrativo in merito alle modalità e alle ragioni che hanno indotto l’ente appaltante a procedere alla revoca.

 

 

FONTI    Roberto Mangani   “Enti Locali & Edilizia”

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