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Affidamenti in house, il controllo analogo congiunto va esercitato in concreto (e non basta l’iscrizione dell’ente all’albo Anac)

 

L’attribuzione di particolari poteri di indirizzo e di controllo all’assemblea dei soci non risulta di per sé idonea a garantire il requisito del controllo analogo

 

Nel caso di affidamento diretto di servizi da parte di un socio pubblico di minoranza a favore di una società pluripartecipata, il vaglio a suo tempo eseguito dall’Anac e la delibera di iscrizione nell’albo delle stazioni appaltanti in house non sono elementi sufficienti per documentare il controllo analogo congiunto, perché l’esercizio di tale controllo va sempre accertato in concreto.

E se sulla base dei diritti amministrativi inerenti allo strumento partecipativo non risulta che detta società sia una mera articolazione organizzativa dell’ente azionista, l’affidamento in house è illegittimo e gli atti della Pa che lo hanno disposto vanno annullati.

È quanto accaduto nella vicenda presa in esame dal Tar Veneto, sezione I, con la sentenza n. 1839/2023.

 

Il fatto

Nel marzo 2023 una società multiutility interamente partecipata da 20 Comuni e iscritta nell’elenco delle amministrazioni aggiudicatrici in house presentava a un Comune socio (con la quota del 5 per cento) una proposta di affidamento senza gara del servizio di gestione delle aree di sosta a pagamento ubicate nel relativo territorio.

Il Comune dava corso all’istruttoria di tale proposta e la giudicava vantaggiosa, congruente e preferibile rispetto al ricorso al mercato con la relazione illustrativa di cui al combinato disposto dell’articolo 34, commi 20 e 21, del Dl 179/2012 convertito con legge 17 dicembre 2012, n. 221, nonché dell’articolo 192, comma 2, del Dl 50/2016 e del Dlgs 201/2022.

Al che il Consiglio comunale, sulla base di tale relazione, con delibera del 16 marzo 2023 disponeva l’affidamento in house del servizio a favore della partecipata, evidenziando i benefici per la collettività della soluzione prescelta.

A fronte di ciò un’impresa del settore ha adito il Tar Veneto contestando al Comune, titolare di un’esigua partecipazione sociale, l’esercizio di un effettivo controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi nelle specifiche circostanze date.

 

Il controllo analogo

A questo riguardo la Sezione non ha dato valore agli adempimenti formali posti in essere dal Comune affidante, né alle dichiarazioni di principio contenute nello statuto della partecipata, ma ha puntato il dito sulla carenza di strumenti ulteriori rispetto alla disciplina privatistica volti a garantire l’effettività del controllo analogo.

I giudici si sono soffermati, in particolare, sull’assenza di disposizioni statutarie o di patti parasociali che prevedano i noti accorgimenti più volte indicati dalla giurisprudenza amministrativa, e nello specifico:

• organi speciali di coordinamento per l’esercizio del controllo analogo;

• quorum costitutivi o deliberativi rafforzati;

• particolari diritti dei Comuni soci riguardanti l’amministrazione della società;

• il diritto di veto del Comune affidante in relazione a determinazioni riguardanti la gestione del servizio dallo stesso affidato;

• un potere sanzionatorio dell’assemblea nei confronti degli amministratori che disattendano i suoi indirizzi.

La pronuncia ha poi sottolineato che «l’attribuzione di particolari poteri di indirizzo e di controllo all’assemblea dei soci non risulta di per sé idonea a garantire il requisito del controllo analogo» con l’ulteriore rilievo che nel caso in esame «non è stata nemmeno garantita la rappresentanza delle minoranze – e quindi nemmeno quella del Comune affidatario del servizio – nell’organo di amministrazione» della partecipata.

Per quanto sopra il Tar ha escluso l’esistenza delle condizioni necessarie per l’affidamento inhouse e ha annullato gli atti dell’intera procedura, gravando il Comune interessato dell’onere di rivedere e riorganizzare in toto le modalità di svolgimento del servizio pubblico in questione.

 

 

FONTI      Michele Nico     “Enti Locali & Edilizia”

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