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Caldo, in edilizia stop ai cantieri in 13 regioni nelle ore centrali

Nelle altre aree del Paese e negli altri settori, vi è comunque la possibilità di richiedere la cassa integrazione con la causale caldo

 

Lo stop al lavoro nelle ore più calde (in genere dalle 12.30 alle 16) in determinati settori, come l’edilizia, l’agricoltura e il florovivaismo, con possibile rimodulazione oraria grazie alla contrattazione e ricorso agli ammortizzatori, è ormai scattato in 13 regioni: Calabria, Puglia, Basilicata, Campania, Lazio, Molise, Sicilia, Sardegna, Abruzzo, Umbria, Toscana, Emilia Romagna e Marche, dove ieri il Presidente Francesco Acquaroli ha firmato l’ordinanza. A breve, potrebbe aggiungersi il Piemonte. Nelle altre aree del Paese e negli altri settori, vi è comunque la possibilità di richiedere la cassa integrazione con la causale caldo (con differenze settoriali nel computo) che, però, come spiegano diverse fonti sindacali, è poco richiesta perché significa fermare le attività. Cgil, Cisl e Uil di Monza e Brianza in una nota riferita in particolare all’edilizia, chiedono una presa di posizione delle istituzioni che vigili e regoli le sospensioni delle lavorazioni nelle emergenze legate al calore. Il cambiamento climatico è diventato sempre più una questione di salute e sicurezza, tant’è che in Italia, ogni anno, ci sono oltre 4mila infortuni sul lavoro attribuibili al caldo, come ci racconta Marco Morabito, primo ricercatore del Cnr che coordina, insieme ad altri due ricercatori Inail, il progetto Worklimate 2.0. Il dato dei 4mila infortuni è il frutto dell’analisi del database dell’Inail per un quinquennio (2014-2019). «Da maggio 2023 è partito il nuovo progetto Worklimate 2.0 – dice Morabito – dove continuiamo a fare attività per indirizzare e favorire strumenti di prevenzione per contrastare l’esposizione ai rischi termici per chi lavora. Questa parte operativa del nostro progetto ha avuto ricadute pratiche, nelle ordinanze di molte regioni, nelle zone in cui la mappa del rischio individua un livello di rischio alto». L’impatto del caldo sul lavoro non è destinato ad una breve durata, il cambiamento climatico è arrivato per restare con noi e i dati dell’Ilo, l’organizzazione internazionale del lavoro, l’agenzia dell’Onu che si occupa di promuovere il lavoro dignitoso, raccontano chiaramente gli effetti sul lavoro. «A livello globale ci sono circa 2 miliardi di lavoratori, il 70% della popolazione attiva, esposti a condizioni di caldo eccessivo, con conseguenze molto preoccupanti: ogni anno sono oltre 23 milioni gli infortuni dovuti al caldo e 19mila i decessi in ambito lavorativo – spiega Morabito -. Questi numeri devono fare riflettere sull’importanza di lavorare sulla prevenzione». Soprattutto perché ogni anno raccontiamo nuovi record dovuti alle temperature estreme. Per capire come prevenire e intervenire servono innanzitutto i dati, alla cui raccolta e analisi il progetto Worklimate 2.0 sta contribuendo, anche grazie alle collaborazioni nate con molti istituti sanitari di eccellenza e imprese, sia nella manifattura che in agricoltura e in edilizia. «Quando si capiscono le lacune è più facile capire come intervenire – afferma Morabito -. Per raggiungere questi risultati, però, i dati scientifici, come quelli che stiamo raccogliendo, sono centrali».

 

 

FONTI    Cristina Casadei      “Enti Locali & Edilizia”

Categorized: News