La risposta a un quesito di una stazione appaltante sull’interpretazione della norma del Dl Semplificazioni
Il criterio della «diversa dislocazione territoriale delle imprese», introdotto dal Dl Semplificazioni, non deve essere inteso come il via libera all’introduzione di una riserva di appalti per le aziende che gravitano nel territorio di riferimento della stazione appaltante. Il chiarimento arriva dal ministero delle Infrastrutture e riguarda una delle misure che aveva suscitato non pochi dubbi sia tra le imprese che tra le amministrazioni, proprio per la difficoltà a dare un’interpretazione univoca alla norma.
Il criterio vale per gli appalti sottosoglia, in particolare per i contratti di lavori di importo compreso tra 150mila e 5,35 milioni, da affidare a procedura negoziata a inviti (5, 10, 15 imprese in base alle fasce di importo) senza bando. Sul punto il Dl 76 (articolo 1) stabilisce che la selezione degli operatori da invitare alle procedure negoziate deve avvenire nel rispetto di un criterio di rotazione degli inviti, che tenga conto anche di una «diversa dislocazione territoriale delle imprese invitate».
La stazione appaltante chiede al Mit cosa debba intendersi per «diversa dislocazione territoriale», sottoponendo l’intenzione di riservare la partecipazione all’appalto a imprese regionali con una quota di concorrenti estratta a sorte dalle regioni limitrofe. «Questo – spiega l’ente nel quesito n.790 pubblicato da Porta Pia – al fine di effettuare un’applicazione di buon senso della diversità territoriale che per i lavori, a differenza di una mera fornitura di materiali che potrebbe provenire da tutta Italia senza alcuna criticità, potrebbe essere causa di blocco e/o rallentamenti e/o varie problematiche gestionali dipendenti dall’eccessiva distanza tra il cantiere e la sede dell’azienda».
Il ministero ricorda innanzitutto che anche il criterio della «dislocazione territoriale» delle imprese è una deroga alle norme del codice appalti valida fino al 31 dicembre 2021 che ha il duplice obiettivo di «attenuare la discrezionalità della stazione appaltante nella scelta degli operatori economici da invitare ed, al contempo, al fine di favorire una ripresa economica del mercato». Per questo, segnalano i tecnici del Mit, non è possibile fare leva «strumentalmente» su questo criterio «per favorire le imprese del territorio».
Dunque, va bene «delimitare l’ambito territoriale degli operatori da invitare in base alla sede legale e/o operativa dell’impresa». Ma questa scelta deve essere motivata ed effettuata in trasparenza. Inoltre la selezione dell’ambito territoriale deve essere proporzionata «al valore dell’affidamento, tenuto conto del luogo di esecuzione e dell’oggetto dell’appalto». Come dire che non si può limitare a un ambito strettamente territoriale un appalto di potenziale interesse nazionale. Bisogna invece sempre « dovrà evitare la concentrazione territoriale degli inviti, che potrebbe dar luogo ad una chiusura del mercato, in contrasto con i principi comunitari di parità di trattamento e di non discriminazione richiamati dallo stesso disposto di cui all’art. 1 del D.L. 76/2020, i quali vietano ogni discriminazione dei concorrenti in base all’elemento territoriale».
Conclusione? No a riserve esclusivamente locali. Al contrario «la stazione appaltante dovrà individuare anche un numero di invitati con sede al di fuori del territorio di competenza, tenendo conto sia delle dimensioni che della rilevanza del mercato di riferimento del medesimo territorio, nonché dell’oggetto dell’appalto».
FONTI: Edilizia eTerritorio