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Ferrovie, Regioni e Comuni: ecco i top 100 dei fondi Pnrr

 

Recovery. Con 24,18 miliardi per Alta velocità e collegamenti diagonali Rfi è di gran lunga la prima assegnataria. A Lombardia e Campania 1,6 miliardi, a Roma 1,1 miliardi e a Palermo 710 milioni

 

Rete ferroviaria italiana fa il pieno e stacca tutti, con 24,18 miliardi di euro per l’Alta velocità e i collegamenti diagonali. Ma la lista dei primi cento destinatari delle risorse del Pnrr, che il Governo ha reso pubblica in una sezione del portale Italia Domani in ottemperanza a una modifica del Regolamento Recovery approvata lo scorso febbraio, è indicativa della geografia e del carattere complessivo del Piano. Per due ragioni.

I primi 100 assegnatari, ricevendo 68,17 miliardi sui 191,5 totali, assorbono da soli il 35,5% delle risorse di un Piano che nel complesso si articola in migliaia di soggetti attuatori, e quindi concentrano i filoni di gran lunga più ricchi dell’intera programmazione. E nella top 100 gli enti territoriali fanno la parte del leone, con ben 16 Regioni che totalizzano 10,65 miliardi (il 15,6% della torta) e 23 tra 17 Comuni e 6 città metropolitane che possono contare su 7,89 miliardi (l’11,5%). Appena nove i ministeri nell’elenco, per 4,39 miliardi, con la Giustizia terza in classifica che fa la parte del leone per i 2,26 miliardi destinati a rafforzare l’Ufficio del processo e i 140 milioni per la digitalizzazione. Tra le aziende svettano E-distribuzione Spa, al secondo posto dopo Rfi con 3,47 miliardi per gli interventi su smart grid e resilienza climatica sulle reti, e Open Fiber, con 1,82 miliardi per il Piano Italia a 1 giga.

Sono quattro le amministrazioni regionali innervate da più di un miliardo di fondi per la ripresa e la resilienza: guida la fila la Lombardia (1,63 miliardi), seguita da Campania (1,58 miliardi), Lazio (1,32 miliardi) e Puglia (1,2 miliardi). Poco distante si piazza Roma Capitale, regina dei Comuni “baciati” dal Piano, con un miliardo tondo. Seconda Palermo (709,6 milioni), prima di Napoli (668,3 milioni), Bologna (654,5 milioni) e Genova (525,8 milioni). Tra le Città metropolitane spiccano Catania (384 milioni) e ancora Roma (341,9 milioni). Milano ha progetti per 259,7 milioni; la Città metropolitana per 201,3 milioni.

Bastano questi pochi dati a misurare il ruolo di primo piano giocato dagli enti territoriali, che non solo fra Regioni ed enti locali cumulano 51,3 miliardi di investimenti (altri 15,1 sono indirizzati alle Asl), ma vedono nel loro portafoglio molti interventi cruciali per connotare l’intero Piano sul terreno della politica e sulle sue ricadute più immediate sulla vita dei cittadini, dagli asili nido agli autobus elettrici fino ai programmi di riqualificazione delle città.

Proprio su quest’ultimo punto la fotografia dei top 100, aggiornata al 21 settembre e citata mercoledì scorso all’assemblea dell’Anci a Genova dal commissario Ue all’Economia Paolo Gentiloni come prova del protagonismo comunale nel Pnrr, rischia di saltare se la proposta di revisione del Piano trasmessa dal Governo italiano alla Commissione Ue il 7 agosto fosse accolta senza modifiche. Perché, tanto per citare il filone su cui è divampato lo scontro tra Governo e sindaci, tra i primi cento sono 16, tra cui 11 Comuni, gli enti che beneficiano dei piani urbani integrati, per 1,19 miliardi. E sono undici le Regioni, assieme a Roma Capitale e all’Agenzia interregionale per il Po, interessate per 307 milioni, da un altro progetto che l’Esecutivo ha proposto di definanziare: quello delle ciclovie turistiche.

Giovedì scorso è toccato al ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, provare a raffreddare la temperatura davanti alla platea dei sindaci. «Non è intenzione del Governo rinunciare ai Piani urbani integrati, c’è convergenza di interessi nel salvaguardare quei progetti nella loro essenza, e quindi nel fare semplicemente un’operazione di salvaguardia degli stessi attraverso strumenti finanziari differenti». La cancellazione dal Piano, ha spiegato il titolare del Viminale, è dipesa dalla «frammentazione pulviscolare di progetti che candidavano quella linea di azione a essere difficilmente controllabile, peraltro con problemi palesi di ammissibilità».

È però proprio sulle fonti di finanziamento alternative che si concentrano i timori dei Comuni. Non ha aiutato a placare gli animi l’annuncio ripetuto del ministro per il Pnrr, Raffaele Fitto, di una clausola di responsabilità sulla spesa che impegni per iscritto tutti i soggetti attuatori a completare le opere entro giugno 2026, pena il pagamento di tasca propria in caso di perdita dei fondi. Alle orecchie dei sindaci suona come una minaccia.

Sarà in ogni caso il negoziato con la Commissione Ue a decidere davvero le sorti del Piano italiano: il 26 ottobre Fitto è tornato a incontrare a Bruxelles la task force Pnrr guidata da Céline Gauer. Sotto esame sia la quarta rata da 16,5 miliardi (è in corso l’assessment per verificare il raggiungimento dei 28 obiettivi del primo semestre di quest’anno) sia la revisione generale. «Stiamo lavorando in un clima di grande collaborazione, il lavoro prosegue molto positivamente», è la formula di rito usata da Fitto. Ma le lancette corrono. E chi chiede certezze su progetti e risorse dovrà aspettare ancora.

 

 

 

FONTI      Manuela Perrone e Gianni Trovati      “Enti Locali & Edilizia”

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