Tar Aosta: di fronte a condanne la stazione appaltante è tenuta a esplicitare un giudizio verificando l’integrità del concorrente
A fronte di un’autodichiarazione del concorrente che indichi la sussistenza di numerose sentenze di condanna in sede civile nei confronti della società e in sede penale nei confronti di esponenti della stessa, nonché casi di revoca di precedenti appalti, la decisione della stazione appaltante di ammettere comunque il concorrente alla gara va adeguatamente motivata.
Non può infatti considerarsi legittimo un generico riferimento secondo cui la stazione appaltante ha “esaminato e approvato” tale dichiarazione, che finisce per tradursi in una motivazione implicita, che non può ritenersi sufficiente in relazione non a un singolo evento ma a una molteplicità di fatti che possono influire sull’affidabilità morale del concorrente.
È questo l’interessante principio sancito dal Tar Valle d’Aosta, 15 aprile 2021, n. 22, che peraltro sviluppa, oltre a questo tema principale, una serie di altre considerazioni in merito ad ulteriori aspetti propri delle procedure di gara, anch’essi spesso oggetto di attenzione da parte della giurisprudenza amministrativa.
La sentenza del Tar
Il fatto
Una centrale di committenza aveva indetto una procedura aperta per l’affidamento dei servizi di raccolta dei rifiuti e igiene urbana. A seguito dell’intervenuta aggiudicazione il secondo classificato proponeva ricorso davanti al giudice amministrativo impugnando il relativo provvedimento e tutti gli atti della procedura. L’aggiudicatario a sua volta proponeva ricorso incidentale.
I due ricorsi, nel loro complesso, sollevavano una serie di questioni articolate relative allo svolgimento della procedura di gara, che il giudice amministrativo ha affrontato distintamente partendo dalle censure mosse in sede di ricorso incidentale.
Le modalità dell’avvalimento
Il primo tema riguarda l’avvalimento, in particolare le modalità attraverso cui lo stesso può legittimamente essere utilizzato.
Il disciplinare di gara prevedeva che i concorrenti dovessero possedere ai fini della partecipazione alla gara il possesso dell’attestazione Soa per la categoria Og I , classifica II.
L’aggiudicataria, in sede di ricorso incidentale, ha evidenziato che la ricorrente, non essendo in possesso di tale requisito, era ricorsa all’avvalimento. Tuttavia, sempre secondo l’aggiudicataria, l’istituto non era stato correttamente utilizzato, in quanto non risultava che l’impresa ausiliaria avesse messo a disposizione i suoi mezzi e le sue risorse in modo idoneo allo scopo. Quest’ultima aveva infatti messo a disposizione i mezzi e le risorse esclusivamente nella misura funzionale all’esecuzione dei lavori; ma poiché oggetto dell’avvalimento era la qualificazione Soa, la messa a disposizione doveva essere molto più ampia, riguardando l’intera organizzazione aziendale nel suo complesso, in quanto funzionale al requisito indicato.
Il giudice amministrativo ha respinto questa censura.
Ha infatti evidenziato che il requisito richiesto dal bando era necessario ai fini della realizzazione dei lavori di ampliamento del centro comunale di conferimento dei rifiuti. Trattandosi di prestazione del tutto estranea all’ambito operativo proprio della ricorrente, quest’ultima era ricorsa all’avvalimento.
Il contratto di avvalimento specificava che l’impresa ausiliaria avrebbe messo a disposizione del concorrente le risorse dettagliatamente indicate da utilizzare per la realizzazione dell’ampliamento del centro, che nei fatti significava prestare il requisito richiesto. In questi termini, le modalità di ricorso all’avvalimento dovevano considerarsi corrette.
I limiti dimensionali dell’offerta. Sempre nell’ambito del ricorso incidentale veniva rilevato come l’offerta della ricorrente non aveva rispettato le indicazioni del bando secondo cui la stessa doveva essere confezionata nelle schede riepilogative dei servizi oggetto di appalto nel limite complessivo di 50 pagine.
La ricorrente aveva infatti dichiarato l’impossibilità di rispettare tale limite nell’ambito delle schede riepilogative. Secondo l’aggiudicatario ciò avrebbe comportato una carenza nella documentazione dimostrativa dell’offerta e comunque la difformità della stessa rispetto alle regole della gara. L’offerta doveva quindi essere dichiarata inammissibile.
Anche questa censura è stata respinta dal giudice amministrativo. Esso ha infatti rilevato come l’obiezione della ricorrente in merito all’impossibilità di rispettare il limite dimensionale delle 50 pagine doveva considerarsi ragionevole e ciò aveva reso impraticabile la redazione delle schede riepilogative con tutti gli elementi di dettaglio dell’offerta. Doveva quindi ritenersi sufficiente l’indicazione nelle schede dei contenuti generali dell’offerta, che avrebbero poi potuto essere controllati e integrati anche in sede di verifica della congruità della stessa.
Quanto all’ulteriore obiezione secondo cui l’offerta era stata redatta con caratteri così piccoli da risultare illeggibile, il giudice amministrativo ha osservato che in mancanza di una esplicita prescrizione contenuta nei documenti di gara, deve ritenersi che l’individuazione del carattere da utilizzare sia libera. Ciò che rileva è che i caratteri utilizzati rendano l’offerta leggibile, anche se tale leggibilità consegue unicamente a una visione del documento al computer, pur non sussistendo nella versione cartacea dello stesso.
L’omessa segnalazione di una precedente esclusione
Il ricorrente in via principale censurava l’omessa segnalazione da parte dell’aggiudicataria in sede di autodichiarazione di un’esclusione intervenuta nei suoi confronti in occasione di una precedente gara di appalto, peraltro relativa al medesimo servizio oggetto della gara in questione.
Al riguardo il giudice amministrativo ha rilevato che il concorrente non è tenuto a dichiarare nelle gare successive le precedenti esclusioni, poiché le singole cause di esclusione si esauriscono di regola nell’ambito della procedura che le ha generate. Ciò a meno che l’esclusione non risulti dal Casellario informatico dell’Anac, di modo che se ne possa tenere conto ai fini della configurabilità del grave illecito professionale.
L’obbligo di motivazione ai fini dell’ammissione “controversa”
Questo profilo rappresenta il nucleo centrale della pronuncia. La questione nasce dal fatto che l’aggiudicataria aveva dichiarato in sede di gara l’esistenza di sentenze civili di condanna nei confronti della società, di sentenze penali di condanna e di procedimenti in corso nei confronti di esponenti della stessa e di provvedimenti di revoca di precedenti appalti.
A fronte di questa autodichiarazione l’ente appaltante si era limitato a far constatare a verbale in termini generici che tale autodichiarazione, insieme tutti gli altri documenti presentati in sede di gara, era stata esaminata e approvata e che risultava una generica correttezza e completezza della documentazione considerata nel suo insieme.
Secondo il ricorrente questa modalità adottata dalla stazione appaltante doveva ritenersi illegittima. Infatti, a fronte di una dichiarazione con i contenuti indicati, la stazione appaltante avrebbe dovuto motivare adeguatamente l’eventuale provvedimento di ammissione, entrando nel merito della dichiarazione in relazione ai fatti oggetto della stessa.
Al contrario, l’aggiudicatario e l’ente appaltante sostenevano che l’obbligo di motivazione sussiste solo nell’ipotesi in cui, all’esito dell’esame degli elementi rilevanti che emergano dalle dichiarazioni dei concorrenti, si decida nel senso dell’esclusione, ma non quando la scelta sia quella dell’ammissione.
Tra le due tesi contrapposte, il giudice amministrativo ha optato per la prima. Ha infatti preliminarmente ricordato che la stazione appaltante è tenuta a esprimere il proprio giudizio sull’ammissione del concorrente verificando l’integrità e affidabilità dello stesso, con una motivazione che valuti in concreto i singoli fatti in relazione a tali parametri.
Ha inoltre evidenziato come anche il giudice comunitario si sia espresso sulla questione in un caso per molti aspetti analogo, rilevando come fosse risultata insufficiente la motivazione con cui l’ente appaltante aveva ritenuto ininfluenti i fatti indicati da un concorrente in sede di gara, decretandone l’ammissione. Nello specifico, il giudice comunitario ha puntualizzato come l’ente appaltante debba adeguatamente soddisfare l’onere istruttorio e motivazionale che grava su di esso nella valutazione di fatti astrattamente idonei a incidere sulla moralità e affidabilità del concorrente e quindi tali da poter integrare il grave illecito professionale.
Il giudice amministrativo ha quindi concluso che se è da ritenere insufficiente una motivazione che in maniera non adeguatamente articolata ha disposto l’ammissione alla gara pur in presenza di fatti astrattamente idonei a incidere sulla moralità professionale del concorrente, a maggior ragione l’ammissione non può essere considerata legittima se la motivazione manca del tutto, limitandosi l’ente appaltante a dare atto di aver esaminato la documentazione presentata dal concorrente.
D’altronde, ritenere che la motivazione sia necessaria per il provvedimento di esclusione ma non anche per quello di ammissione significa creare una disparità tra i concorrenti. Infatti solo il concorrente escluso avrebbe diritto alla motivazione, ma non anche il concorrente che, a fronte dell’ammissione ritenuta illegittima di altro concorrente, ha a sua volta il diritto di conoscere le motivazioni dell’ente appaltante, anche ai fini di valutare l’eventuale ricorso al giudice amministrativo.
Tuttalpiù la motivazione così detta implicita – che non si estrinseca quindi nell’esplicitazione delle ragioni sottostanti il provvedimento di ammissione – può essere consentita solo se il fatto indicato dal concorrente sia unico o comunque non manifestamente rilevante; ma ciò non è possibile nell’ipotesi di una nutrita serie di elementi, rispetto ai quali l’ente appaltante deve esercitare le sue valutazioni discrezionali e darne evidenza con una adeguata motivazione.
Link utili
FONTI : Roberto Mangani “Edilizia e Territorio”