La sentenza del Consiglio di Stato trova conforto nelle previsioni del nuovo codice appalti in vigore dal 1° luglio
L’accordo di ristrutturazione del debito che sia stato omologato dal Tribunale non costituisce causa di esclusione dalle gare dell’operatore che ne sia investito. Non è neanche necessario, ai fini della partecipazione alla procedura di gara, che tale accordo sia accompagnato dalla relazione di un professionista che attesti la conformità dell’accordo al piano e la ragionevole capacità dell’impresa di adempiere al contratto, come è previsto nel caso di concordato preventivo. Infatti, accordo di ristrutturazione del debito e concordato preventivo sono due istituti distinti per caratteristiche e finalità, e non è quindi corretto estendere al primo regole che sono proprie del secondo.
In termini più generali, le cause di esclusione dalle gare rappresentano un numero chiuso e hanno carattere tassativo, per cui non è legittimo procedere alla esclusione di un concorrente in ipotesi diverse da quelle espressamente indicate dalla relativa disciplina.
Sono queste le principali affermazioni contenute nella sentenza del Consiglio di Stato, Sez. IV, 31 maggio 2023, n. 5393, da esaminare anche alla luce della disciplina sulle cause di esclusione contenuta nel nuovo Codice dei contratti. La pronuncia contiene anche interessanti affermazioni in merito alla corretta applicazione del principio di equivalenza, relativamente ai limiti entro i quali è legittimo che un concorrente presenti in sede di offerta tecnica prodotti e prestazioni non identiche – ma appunto equivalenti – rispetto a quanto indicato nella documentazione di gara.
Il fatto
Un ente appaltante aveva bandito una gara per l’affidamento del servizio integrato di raccolta dei rifiuti, da aggiudicarsi con il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa. A fronte dell’intervenuta aggiudicazione il secondo classificato proponeva ricorso davanti al giudice amministrativo. Il ricorso si fondava su una serie di motivi di censura, di cui due erano i più rilevanti. Con il primo si contestava la mancata esclusione dalla gara dell’aggiudicatario in quanto lo stesso era soggetto a un accordo di ristrutturazione del debito ex articolo 182 – bis della legge fallimentare. Secondo il ricorrente la presenza di questo accordo omologato dal Tribunale inciderebbe in maniera sostanziale sull’affidabilità e solidità finanziaria dell’impresa, e avrebbe dovuto portare all’esclusione del concorrente, anche in considerazione della mancanza della relazione del professionista volta a confermare l’idoneità dell’impresa all’adempimento del contratto. Tale relazione sarebbe necessaria in analogia a quanto previsto per il concordato preventivo, con l’ulteriore corollario secondo cui un diverso trattamento dei due istituti sarebbe incostituzionale in quanto in contrasto con il principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della Carta.
Un secondo rilevante motivo di ricorso era legato alla ritenuta presentazione da parte dell’aggiudicatario di un’offerta tecnica contenente delle specifiche non conformi a quelle indicate nella documentazione di gara, con conseguente errata applicazione da parte della stazione appaltante del principio di equivalenza.
Il Tar Puglia respingeva il ricorso. Relativamente al primo profilo di censura evidenziava che l’accordo di ristrutturazione del debito non è ricompreso tra le cause di esclusione dalle gare indicate all’articolo 80 del D.lgs. 50/2016, la cui elencazione deve ritenersi avere carattere tassativo. Né appariva necessario che ai fini della partecipazione alla gara l’accordo fosse accompagnato dalla relazione del professionista attestante la conformità al piano e la capacità di adempimento del contratto, trattandosi di un documento previsto per la diversa ipotesi del concordato preventivo. Né può essere invocata la questione di legittimità costituzionale per ritenuto contrasto con il principio di uguaglianza di cui all’articolo 3 della Carta, poiché l’accordo di ristrutturazione e il concordato preventivo costituiscono situazioni del tutto diverse per le quali quindi non può essere richiamata la necessità di un uguale trattamento. Peraltro, l’accordo di ristrutturazione non precostituisce un ingiustificato privilegio per l’operatore economico, ma rappresenta piuttosto un ragionevole contemperamento tra la libertà di iniziativa economica privata e l’esigenza dell’interesse pubblico al recupero dei crediti tributari e previdenziali.
Quanto al secondo profilo di censura, il giudice amministrativo ha ritenuto che la stazione appaltante abbia fatto un corretto uso del principio di equivalenza di cui all’articolo 68 del D.lgs. 50, ritenendo sostanzialmente assimilabili gli elementi contenuti nell’offerta tecnica dell’aggiudicatario con quelli definiti nella documentazione di gara. La sentenza del Tar Puglia è stata oggetto di ricorso al Consiglio di Stato, che ne ha tuttavia sostanzialmente confermato le conclusioni.
L’accordo di ristrutturazione del debito e le cause di esclusione
Sotto questo profilo il Consiglio di Stato amplia e condivide le argomentazioni del giudice di primo grado. Ricorda in primo luogo che le cause di esclusione collegate allo stato di crisi dell’impresa sono indicate in maniera puntuale da legislatore: fallimento, liquidazione coatta, concordato preventivo o sottoposizione a una di queste procedure concorsuali. Questa elencazione è da considerarsi tassativa e non suscettibile di interpretazione analogica. Di conseguenza, l’accordo di ristrutturazione del debito – non essendovi ricompresa – non può costituire causa di esclusione dalla gara. Infatti, a fronte di casi di esclusione indicati dal legislatore che rappresentano un numero chiuso e sono di stretta interpretazione, procedere all’esclusione in ipotesi diverse in quanto ritenute assimilabili si porrebbe in contrasto con i principi del favor partecipationis e del legittimo affidamento dei concorrenti.
Né l’accordo di ristrutturazione può in alcun modo essere assimilato al concordato preventivo. Si tratta di istituti del tutto distinti e regolamentati da specifiche discipline, il che impedisce anche sotto questo profilo qualunque possibilità di applicazione analogica dell’obbligo di presentare in sede di gara la relazione di un professionista con i contenuti sopra ricordati (prevista solo in relazione al concordato preventivo).Questa netta distinzione tra i due istituti rende peraltro del tutto infondata la presunta questione di legittimità costituzionale indicata dal ricorrente, non potendo sussistere una disparità di trattamento normativo in relazione a fattispecie del tutto diverse.
Il nuovo Codice dei contratti
Le conclusioni del giudice amministrativo escono confermate e anzi rafforzate dal nuovo quadro normativo delineato dal D.lgs. 36/2023. Da un lato, l’articolo 94 conferma, tra le cause di esclusione dalla gara, l’ipotesi che l’operatore economico che sia stato sottoposto a liquidazione giudiziale o si trovi in stato di liquidazione coatta o di concordato preventivo o nei cui confronti sia in corso un procedimento per l’accesso a una di tali procedure (comma 1, lettera d). Rispetto a questa disciplina restano ferme tutte le considerazioni sviluppate nelle due pronunce del Tar Puglia e del Consiglio di Stato.
Ma vi è un’altra previsione contenuta all’articolo 10 che rafforza le conclusioni del giudice amministrativo. Tale disposizione ricomprende tra i principi generali del Codice quello della tassatività delle cause di esclusione, cui viene accompagnata la previsione secondo cui le clausole che prevedono cause ulteriori di esclusione sono nulle e si considerano come non apposte. Il che rende ancora più evidente l’impossibilità di adottare interpretazioni estensive o analogiche in merito alla disciplina delle esclusioni dalle gare.
Il principio di equivalenza
In relazione al secondo motivo di ricorso il Consiglio di Stato ricorda in primo luogo che la documentazione di gara prevedeva che l’offerta tecnica dovesse rispettare le caratteristiche minime indicate negli elaborati progettuali e gli standard di servizio minimi. Secondo il ricorrente l’offerta tecnica dell’aggiudicatario non avrebbe rispettato tali requisiti minimi in relazione alla sostituzione di un contenitore per la raccolta di rifiuti con altro contenitore avente caratteristiche diverse e peggiorative. Questa circostanza avrebbe dovuto comportare l’esclusione dell’offerta dell’aggiudicataria, in quanto recante un prodotto – e quindi una prestazione – diverso/a da quello/a richiesto/a.La mancata esclusione sarebbe quindi ascrivibile a una errata applicazione da parte dell’ente appaltante del principio di equivalenza sancito dall’articolo 68 del D.lgs. 50, che non poteva essere invocato nel caso di specie in quanto la documentazione di gara non aveva richiesto genericamente una determinata prestazione, ma aveva specificato le caratteristiche tipologiche e strutturali del servizio da rendere e dei prodotti da utilizzare. Anche questa censura è stata respinta dal Consiglio di Stato.
Nella pronuncia viene infatti evidenziato che l’esclusione dell’offerta per difformità dai requisiti minimi può operare solo nel caso in cui la documentazione di gara indichi in maniera puntuale e con assoluta certezza i caratteri delle prestazioni e dei prodotti richiesti. Laddove emergano margini di dubbio, riprende vigore il principio che impone di interpretare le clausole del disciplinare in maniera da favorire la più ampia partecipazione alle gare. Nel caso di specie la fornitura di una tipologia di contenitore dei rifiuti in luogo di un altro non può intendersi in violazione dei requisiti minimi previsti dalla documentazione tecnica definita in sede di gara, trattandosi di prodotti che possono assolvere in maniera similare alla raccolta dei rifiuti senza alterare i caratteri essenziali della prestazione da rendere. In questo senso si deve ritenere che prima la stazione appaltante e successivamente il giudice di primo grado abbiano fatto corretta applicazione del principio di equivalenza. Per ritenere che lo stesso non operi occorre infatti che chi ne contesta l’utilizzo dimostri in maniera inequivocabile che i due prodotti a confronto abbiano caratteristiche del tutto differenti, tale da alterare l’oggetto della prestazione. Dimostrazione che nel caso di specie non vi è stata.
FONTI Roberto Mangani “Enti Locali & Edilizia”
