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Il Consiglio di Stato cambia rotta: il silenzio assenso si applica anche ai pareri della Soprintendenza

 

Se è reso tardivamente nell’ambito di una conferenza di servizi è come se non fosse stato emanato

 

Il silenzio assenso è applicabile anche al parere della Soprintendenza che, se è reso tardivamente nell’ambito di una conferenza di servizi è come se non fosse stato emanato. Lo afferma la quarta sezione del Consiglio di Stato con la sentenza n. 8610/2023, prospettando un cambio radicale di prospettiva.

 

Il caso

Il proprietario di un terreno ha chiesto il rilascio del permesso di costruire per l’edificazione di una residenza turistico-alberghiera e ha formulato domanda di autorizzazione paesaggistica. Il comune ha indetto la conferenza di servizi al fine di acquisire tutti gli atti, compreso il parere della Soprintendenza e il nulla osta dell’Ente Parco. La Soprintendenza ha espresso parere contrario e il comune ha statuito che tale dissenso non fosse superabile senza apportare modifiche sostanziali alla decisione oggetto della conferenza. Avverso tale decisione il proprietario ha proposto ricorso al Tar, che lo ha accolto a motivo della intempestività dell’intervento consultivo da parte dell’autorità tutoria statale, che ha finito per generare la formazione del silenzio assenso “orizzontale” o “interno” ai sensi dell’articolo 14-bis, comma 4, della legge 241/1990.

Contro la decisione il ministero dei Beni culturali ha proposto appello dinanzi al Consiglio di Stato, affidato a un unico motivo: l’articolo 17-bis della legge 241/1990, relativo al silenzio assenso endoprocedimentale, si applica soltanto ai rapporti orizzontali tra amministrazioni e non anche al procedimento di rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, che invece è un procedimento mono-strutturato in cui prevale la volontà di una singola amministrazione. Per questo, il parere tardivo della Soprintendenza non sarebbe tamquam non esset e di esso il comune dovrebbe comunque tenere conto ai fini della determinazione in ordine al rilascio dell’autorizzazione paesaggistica.

 

Le norme

La quarta sezione del Consiglio di Stato ripercorre la legislazione di riferimento come innovata dalla legge 124/2015 e relativi decreti delegati, intervenuta in maniera incisiva anche sulla disciplina sostanziale e procedurale degli interessi sensibili, con particolare riferimento al silenzio assenso orizzontale, applicabile anche nel caso in cui l’atto di assenso non pervenuto nei termini provenga da un’amministrazione preposta alla cura di interessi sensibili; alla riscrittura della disciplina della conferenza di servizi caratterizzata sia dalla previsione del silenzio assenso in caso di mancata partecipazione o partecipazione non collaborativa o costruttiva anche di amministrazioni preposte ad interessi sensibili sia dal fatto che il dissenso di una Pa preposta a un interesse sensibile non è più ostativo alla conclusione positiva della conferenza.

Si tratta di una impostazione innovativa frutto del combinato operare di due fattori: 1) la trasformazione del ruolo della semplificazione da valore finalizzato a migliorare l’efficienza amministrativa a bene o valore finale, autonomo rispetto agli interessi curati dalle amministrazioni competenti; 2) l’attenuazione della valenza forte e assolutizzante dell’attributo di primarietà associato agli interessi sensibili, nella misura in cui viene ammesso un loro bilanciamento in concreto con altri valori e principi.

 

Il parere

A seguito dell’introduzione di tali modifiche normative, una parte della giurisprudenza del Consiglio di Stato ha continuato ad applicare il modello del parere meramente devolutivo, per cui qualora sia trascorso inutilmente il termine l’organo statale non è privato del potere di esprimersi, ma il parere perde il carattere di vincolatività. Secondo un orientamento di segno contrario, il silenzio assenso orizzontale è applicabile anche al parere della Soprintendenza. La quarta sezione decide che il primo degli orientamenti deve essere rimeditato, alla luce di “delicati profili di teoria generale dell’interpretazione”. Si tratta infatti di un orientamento che appariva già poco coerente con il quadro normativo successivo all’introduzione, per effetto della riforma Madia, delle disposizioni di cui agli articoli 14-bis e 17-bis, ma che oggi appare superato alla luce della lettera e della ratio dell’articolo 2, comma 8-bis, della legge 241/1990, a mente del quale le determinazioni relative a provvedimenti, autorizzazioni, pareri, nulla osta e atti di assenso adottate dopo la scadenza dei termini «sono inefficaci»: un principio che secondo il Consiglio di Stato «non ammette eccezioni» per cui le determinazioni tardive sono irrilevanti in quanto prive di effetti nei confronti dell’autorità competente. Da ciò discende che non c’è più spazio per il «silenzio-devolutivo», stante la formulazione volutamente onnicomprensiva della nuova norma, che fornisce la misura della discrezionalità giudiziaria e costituisce un limite insuperabile, talché l’organo che si pronuncia tardivamente ha perso il potere di decidere e il suo atto è privo di effetti nell’ordinamento amministrativo.

Ma questa tesi tiene alla luce dell’articolo 9 della Costituzione e del principio di primazia dell’interesse alla tutela del paesaggio, che consentirebbe di fare eccezione a regole di semplificazione quale la conferenza di servizi? Qui la trattazione si fa molto interessante. L’assunto di fondo, osservano i giudici, trova una prima smentita già a livello di legge ordinaria, da cui si ricava che altri interessi pubblici, al pari di quello paesaggistico, sono espressamente e ripetutamente indicati dalla legge 241/1990 come parimenti soggetti a un regime speciale e “privilegiato”. Regime in cui alla conferenza di servizi è assegnata la funzione sede di rappresentazione e di composizione degli interessi pubblici, compresi quelli sensibili o “superprimari”, in un confronto aperto e paritario, al cui interno la Soprintendenza ben può curarsi dei “propri” interessi pubblici a rilevanza costituzionale. Tenendo peraltro conto che la Consulta da anni predica il principio del necessario bilanciamento tra valori o interessi pubblici primari o prioritari, tra i quali non vi è una scala gerarchica e nessun valore o diritto può prevalere in modo radicale.

 

 

 

FONTI        Amedeo Di Filippo      “Enti Locali & Edilizia”

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