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Infrastrutture migliori e più condivise se gestiamo i conflitti

A Genova, istituzioni e imprese hanno avuto con il primo caso di dibattito pubblico una interessante dimostrazione di come si può arrivare a progetti migliori e pertanto più condivisi, facendo parlare tutti ma evitando polarizzazioni controproducenti. Sembra averlo capito bene il Presidente del Consiglio Mario Draghi, i cui passaggi più significativi nel suo discorso in Parlamento della settimana scorsa non riguardavano tanto i contenuti (numerosi) della sua futura azione di governo, ma il modo in cui questa andrà a formarsi, componendo interessi contrastanti e trasmettendo al Paese il senso di urgenza richiesto dalla situazione economica e sanitaria. Senza nominarla, l’ex Governatore della BCE prende atto di una parola, “conflitto”, che troppo spesso negli ultimi anni si è cercato di mettere un po’ frettolosamente da parte, vista come spauracchio per la stabilità e noiosa gatta da pelare per chi vuole fare, produrre, mandare avanti il Paese.

I motivi chiave della fase politica, ed esecutiva, che ci troviamo davanti sono senza dubbio la “ripresa”, da una parte, e la “transizione”, dall’altra. Entrambi i temi saranno declinati attraverso i grandi dossier dell’innovazione digitale e di una ecologia integrale, a cui Draghi ha dedicato due nuovi dicasteri sotto il controllo di tecnici di fiducia nonché di altissimo profilo, Vittorio Colao e Roberto Cingolani. I progetti che su questi campi come in quelli più classici delle infrastrutture (responsabilità del Ministro Giovannini) verranno finanziati grazie al Recovery Fund della Commissione Europea, serviranno innanzitutto a reimmettere fiducia, stimolare investimenti, coinvolgere nella ripartenza le nostre imprese grandi e piccole.

Le speranze per i prossimi mesi sono dunque molte, ma ci vuole pragmatismo: la destrutturazione di tutti quei corpi intermedi che in passato avevano la funzione di gestire attutire e delimitare i conflitti hanno ridotto lo spazio tra le decisioni che vengono prese da amministrazioni locali e nazionali, l’implementazione dei privati, e l’opinione di persone e comunità a tal riguardo. Lo scambio tra chi decide, chi realizza e chi beneficia (o subisce gli impatti) di una politica o della realizzazione di un’opera pubblica o di una infrastruttura privata, è sempre più fitto e diretto, costellato da una conflittualità spesso problematica, che porta a risultati non ottimali, dannosi per tutti i soggetti in campo, a grandi occasioni perse per l’avanzamento della società, dell’economia e dei servizi pubblici nel nostro Paese.

Nonostante la fiducia nella figura del nuovo Presidente del Consiglio, dunque, pensare che questo grande processo di rivitalizzazione dell’economia e dei territori italiani possa filare liscio come l’olio, senza considerare l’eventualità del conflitto, della rivendicazione, dell’opposizione – che sia motivata od ideologica a questa o quella opera pubblica – o senza guardare all’impatto sociale di ogni infrastruttura o investimento, sarebbe un errore esiziale, che rischierebbe di danneggiare e rallentare in modo fatale lo sforzo enorme che dovremo fare nei prossimi mesi ed anni. Non possiamo permettercelo.

In generale, è un difetto di ascolto delle preoccupazioni dei cittadini a rivelarsi spesso fatale per la realizzazione di opere e investimenti essenziali. Per questo, andranno nei prossimi mesi sempre più implementate tecniche e processi, il più possibile semplici e innovative, per spingere le persone a partecipare e ad esprimersi, valutare alternative di progetto in tempo utile, generare progetti migliori e più condivisi per uno specifico territorio così come per l’intera comunità nazionale. Quello del débat public è un avanzamento importante, che va integrato con la possibilità di utilizzare altri strumenti partecipativi e di mediazione dei conflitti, insieme ad una comunicazione istituzionale efficace, trasparente e aperta. Se, in vista delle prossime sfide, il conflitto non potrà certo essere bypassato, sarà meglio imparare a gestirlo anziché subirlo.

FONTI: Andrea Pillon * Il Sole 24 ore

*Docente della cattedra Luigi Bobbio in Governance e Gestione Alternativa dei Conflitti all’Università degli Studi di Torino

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