La sentenza n. 7779/2025 chiarisce che la revisione dei prezzi ai sensi dell’art. 106 del d.Lgs. n. 50/2016 è ammessa solo se espressamente prevista nei documenti di gara
Cosa accade ai contratti stipulati sotto il “vecchio” Codice dei contratti se l’appaltatore chiede la revisione dei prezzi alla luce del nuovo d.lgs. n. 36/2023?
Le regole più favorevoli introdotte di recente possono essere applicate retroattivamente? E, in mancanza di una clausola espressa, la revisione può ritenersi automaticamente inserita nel contratto?
Revisione prezzi e nuovo Codice: nessuna retroattività ammessa
Il tema della revisione dei prezzi è tornato al centro del contenzioso dopo l’entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti, che ha reso obbligatoria la previsione di clausole revisionali nei bandi.
La sentenza del Consiglio di Stato del 6 ottobre 2025, n. 7779 si colloca in questo scenario di transizione normativa, chiarendo in modo inequivocabile che le nuove disposizioni non operano retroattivamente e che sotto il vigore del d.Lgs. n. 50/2016 la revisione era un istituto meramente pattizio, non automatico.
Nel caso in esame, una società appaltatrice aveva richiesto alla SA l’adeguamento dei corrispettivi di un contratto per la fornitura stipulato nel 2022, sostenendo che l’aumento dei costi di mercato e l’indice ISTAT giustificassero una revisione dei prezzi.
L’Amministrazione aveva negato l’istanza perché il contratto non conteneva alcuna clausola revisionale e il TAR aveva confermato il diniego. L’impresa aveva quindi proposto appello, invocando l’applicazione analogica delle norme emergenziali anti-Covid e del nuovo art. 60 del d.Lgs. n. 36/2023.
Il Consiglio di Stato ha però confermato la decisione di primo grado: vediamo perché.
Quadro normativo di riferimento
Nel sistema delineato dal d.Lgs. n. 50/2016, la revisione dei prezzi è disciplinata dall’art. 106, che consente modifiche contrattuali solo in casi specifici e nel rispetto del principio di concorrenza:
- comma 1, lett. a): ammette la revisione solo se prevista da clausole chiare, precise e inequivocabili nei documenti di gara, e a condizione che non alteri la natura del contratto;
- comma 2: consente modifiche entro limiti percentuali (10% del valore iniziale) e soglie di rilevanza, ma sempre in presenza dei presupposti oggettivi previsti;
- comma 1, lett. c): riconosce la possibilità di modifica per “circostanze impreviste e imprevedibili”, ma come potere della stazione appaltante, non come diritto dell’appaltatore.
La norma aveva abrogato il precedente art. 115 del d.lgs. 163/2006, che invece prevedeva l’inserzione automatica della clausola revisionale nei contratti pubblici, con carattere inderogabile.
La successiva legge n. 208/2015 (art. 1, comma 511), riferita ai soggetti aggregatori, non è stata ritenuta applicabile ai contratti ordinari.
Solo con l’entrata in vigore del nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. 31 marzo 2023, n. 36), e in particolare con l’art. 60, la clausola di revisione è tornata ad essere obbligatoria nei documenti di gara, come strumento di riequilibrio automatico in caso di variazioni dei costi. Tuttavia, la norma non ha efficacia retroattiva.
Infine, il meccanismo civilistico dell’art. 1339 c.c., che prevede l’inserzione automatica di clausole imposte da norme imperative, non può trovare applicazione in assenza di un obbligo legale espresso.
L’unica tutela residua resta quella dell’art. 1467 c.c. (eccessiva onerosità sopravvenuta), che consente la risoluzione o la rinegoziazione, ma non un diritto alla revisione automatica del corrispettivo.
La decisione del Consiglio di Stato
La sentenza si muove nella scia di una giurisprudenza costante che interpreta in modo restrittivo l’art. 106 del d.lgs. n. 50/2016.
Nel sistema previgente, la revisione prezzi non rappresentava un diritto dell’appaltatore ma una facoltà della stazione appaltante, subordinata alla presenza di una clausola specifica.
Ne deriva quindi che:
- sotto il d.lgs. n. 50/2016 la revisione dei prezzi è ammessa solo se espressamente prevista nei documenti di gara con clausole chiare e precise;
- non è possibile applicare in maniera analogica le norme eccezionali introdotte durante l’emergenza Covid-19, trattandosi di disposizioni straordinarie;
- nessuna retroattività del nuovo Codice dei contratti pubblici: l’art. 60 del d.lgs. n. 36/2023, che impone l’obbligo della clausola di revisione, si applica solo ai bandi pubblicati dopo la sua entrata in vigore;
- in assenza di una norma imperativa che imponga la clausola, come accadeva invece con l’art. 115 del d.lgs. n. 163/2006, non opera il meccanismo dell’art. 1339 c.c.;
- unico possibile rimedio rimane l’art. 1467 c.c., relativo all’eccessiva onerosità sopravvenuta, che tuttavia non dà diritto alla revisione del prezzo, ma alla risoluzione del contratto o a un’eventuale rinegoziazione su base volontaria.
In generale, si tratta di una ratio compatibile con il diritto europeo: le direttive UE non impongono la revisione dei prezzi dopo l’aggiudicazione, lasciando agli Stati la scelta di disciplinarla o meno.
Per il Collegio, dunque, “essendo preclusa la revisione dei prezzi per mancanza della relativa clausola, a nulla rileva la pretesa di adeguamento del corrispettivo agli indici ISTAT o ad altri strumenti di indicizzazione”.
Il ricorso è stato quindi respinto, confermando la legittimità del diniego opposto dalla SA.
FONTI “LavoriPubblici.it”
