Le norme sull’equivalenza sono da riscrivere perché possono generare effetti distorsivi
Criteri indeterminati che, alla prova dei fatti, potrebbero portare effetti opposti rispetto a quanto preventivato. Le norme sull’equivalenza tra contratti collettivi di lavoro negli appalti pubblici finiscono ancora una volta sotto accusa. Dopo i dubbi sollevati dall’Ance nel corso delle audizioni, adesso anche il Consiglio di Stato, nel suo parere depositato lunedì (si veda «Il Sole 24 Ore» di ieri), dedica un ampio capitolo alle osservazioni sulle norme che rendono possibile l’equivalenza tra Ccnl negli appalti pubblici. E intanto arriva semaforo verde (con diverse richieste di modifica) anche dalla Conferenza Unificata, che ieri ha formulato parere favorevole con osservazioni.
Palazzo Spada nel documento di quasi 150 pagine ha messo sotto esame il nuovo allegato I.01, che punta a disciplinare i criteri e le modalità per l’individuazione, nei bandi e negli inviti, del contratto collettivo da applicare. A fare da guida, in base a queste regole, non sarà più solo l’oggetto dell’appalto, ma entreranno in gioco anche altri indicatori, che possono consentire di stabilire l’equivalenza tra un Ccnl e l’altro. Secondo Palazzo Spada, però, il nuovo sistema ha diversi buchi. In primo luogo, suscita perplessità il passaggio che consente di verificare la rilevanza delle associazioni rappresentative dei lavoratori e dei datori di lavoro sulla base della «presenza di rappresentanti nel Consiglio del Cnel». Si tratta di «un incerto criterio suppletivo generalizzato», che sarebbe meglio cancellare.
Non solo. Dure critiche arrivano anche sui passaggi che consentono di considerare equivalenti le tutele garantite da diversi contratti collettivi, in base a criteri elencati dal correttivo. «Dal dato testuale e sintattico, sembra doversi supporre che la stessa organizzazione sindacale rappresentativa dei lavoratori abbia la medesima forza contrattuale per ogni contratto collettivo stipulato con le associazioni datoriali, a prescindere dalla dimensione e dalla natura giuridica delle imprese da esse rappresentate». Questo assetto, però, «non concorre a circoscrivere in modo adeguato la discrezionalità delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti nelle valutazioni di equivalenza delle tutele».
Ancora, non convincono i criteri che consentono di misurare l’equivalenza tra contratti. Per il parere, «andrebbe valutato il potenziale eccesso di scostamento cumulativo». In altre parole, lo scostamento, sia pur marginale, potrebbe simultaneamente riguardare tutti o quasi i parametri indicati dal correttivo, «derivandone una sommatoria di scostamenti marginali il cui risultato potrebbe essere sostanzialmente rilevante e contraddittorio rispetto all’effetto di equivalenza». Nelle osservazioni dei giudici amministrativi entra, poi, anche la questione della revisione dei prezzi che nel correttivo, dicono i giudici, assume la forma di un’innovazione e non di un chiarimento e per giunta in chiave restrittiva rispetto al Codice. Una precisazione che incontra il parere favorevole dell’Ance, preoccupata proprio perché il correttivo, su questo punto, non è allineato al decreto legislativo 36/2023.
FONTI Giuseppe Latour “Enti Locali & Edilizia”