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Correttivo, tutte le criticità dell’Accordo di collaborazione (a rischio flop)

La fase esecutiva è già presidiata da norme puntuali e strumenti di risoluzione delle controversie come il Collegio consultivo tecnico: i pericoli di sovrapposizione e appesantimento procedurale

 

Il Dlgs 209/24 introduce, attraverso l’aggiunta dell’articolo 82–bis al Dlgs 36/2023, un nuovo istituto relativo alla fase esecutiva dei contratti, denominato Accordo di collaborazione.

L’articolo richiamato prevede infatti che le stazioni appaltanti hanno la facoltà – ma non l’obbligo – di inserire nella documentazione di gara lo schema di un accordo di collaborazione plurilaterale che verrà successivamente stipulato con l’aggiudicatario e con le altre parti coinvolte «in misura significativa» nella fase di esecuzione dei contratti.

La finalità del nuovo istituto, almeno nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe essere quella di istituire una sede di confronto tra tutte le parti coinvolte nell’esecuzione del contratto – in primo luogo la stazione appaltante e l’appaltatore – per affrontare e risolvere le diverse problematiche che possono insorgere, in un’ottica di prevenzione e riduzione dei rischi e di risoluzione delle controversie antecedentemente alla loro eventuale proposizione in sede di precontenzioso o di contenzioso.

Va subito detto che, al di là della evidente condivisione della finalità indicata, sussistono significative perplessità sul fatto che lo strumento individuato sia effettivamente il più idoneo allo scopo. Occorre infatti considerare che la sua introduzione da un lato comporta ulteriori oneri procedurali, dall’altro interviene in un sistema regolatorio già complesso ma anche compiuto, nel senso che ha in sé gli strumenti e gli istituti – a partire dal Collegio tecnico consultivo – per affrontare e eventualmente risolvere tutte le questioni che possono insorgere nella fase esecutiva dei contratti.

Le regole di funzionamento dell’Accordo di collaborazione si ricavano dalla lettura coordinata dell’articolo 82–bis e dell’Allegato II.6 – bis, che individua gli elementi essenziali di cui si compone tale Accordo.

La definizione e il contenuto
Secondo la definizione contenuta nel comma 1 dell’articolo 82–bis, l’Accordo di collaborazione contiene meccanismi di esame degli interessi pubblici e privati coinvolti nella fase esecutiva finalizzati alla prevenzione e riduzione dei rischi e alla risoluzione delle eventuali controversie.

L’aspetto relativo alla risoluzione delle controversie è ulteriormente specificato dall’articolo 4 dell’Allegato, in cui si precisa che le parti dell’Accordo si impegnano a risolvere in buona fede eventuali controversie sorte in fase esecutiva e, nell’ipotesi in cui tale risoluzione preventiva non sia perseguibile, a individuare gli strumenti più idonei – nell’ambito di quelle previsti dal contratto che a sua volta non può che fare riferimento alle relative norme – da utilizzare per la risoluzione delle controversie.

L’ultimo periodo del comma 1 dell’articolo 1 dell’articolo 82-bis stabilisce che l’Accordo di collaborazione non sostituisce il contratto principale e gli altri contratti a quest’ultimo collegati e non ne integra i contenuti.

Si tratta di una precisazione che da un lato ribadisce correttamente che i contenuti, gli obiettivi e le modalità applicative dell’Accordo di collaborazione non possono modificare i contenuti del contratto di appalto; dall’altro rende evidenti i limiti dello strumento, che non può che muoversi nell’ambito della disciplina dettata da tale contratto che a sua volta fa applicazione degli istituti e degli strumenti tipici della fase esecutiva, come interpretati alla luce della prassi e dell’elaborazione giurisprudenziale.

Quanto ai contenuti specifici, l’Accordo di collaborazione dovrebbe individuare alcuni obiettivi principali e altri obiettivi collaterali. Secondo quanto indicato dall’articolo 3, comma 3 dell’Allegato, gli obiettivi principali riguardano: le attività, i compiti e lo scambio di informazioni necessarie al fine di garantire il rispetto dei tempi di esecuzione; le modalità di verifica delle prestazioni eseguite; il contenimento del costo o del prezzo del contratto entro i limiti di spesa prefissati; ogni altro aspetto funzionale al raggiungimento del risultato.

Il successivo comma 4 individua invece gli obiettivi collaterali nei seguenti termini: attività e impegni delle parti finalizzati al conseguimento di ulteriori benefici di comune interesse, tenuto conto anche degli aspetti sociali, culturali e ambientali connessi all’appalto, compresa la promozione della partecipazione delle piccole e medie imprese ai subappalti aventi sede operativa nel luogo di esecuzione delle prestazioni.

Risulta evidente che in realtà tali obiettivi – in particolare quelli principali – riproducono sotto diversa forma diritti ed obblighi che sono necessariamente già parte integrante del contratto di appalto. Lo scambio di informazioni rientra nella normale dinamica dei rapporti tra direzione lavori e appaltatore; le modalità di verifica delle prestazioni eseguite sono anch’esse affidate al controllo della direzione lavori e in ultima istanza del collaudatore; il contenimento del costo del contratto entro i limiti di spesa prefissati costituisce principio fondamentale del contratto di appalto.

In questo contesto rischiano di generare confusione le ulteriori previsioni contenute ai commi 5 seguenti dell’articolo 3 dell’Allegato. In base ad esse, l’Accordo di collaborazione disciplina le modalità di verifica degli obiettivi mediante la definizione di indicatori di prestazione, l’individuazione delle scadenze temporali di monitoraggio e di raggiungimento degli obiettivi, la definizione di eventuali premialità.

Le premialità si possono sostanziare nell’inserimento degli appaltatori negli elenchi di fiducia, nel riconoscimento di opzioni (ma nei limiti consentiti dalla normativa), in premi economici (ma nei limiti già previsti dai premi di accelerazione), nell’attribuzione di criteri premiali per le successive procedure di affidamento.

Queste premialità in alcuni casi (opzione, premi economici) sembrano riprodurre possibilità già previste dalla normativa; in altri (elenchi di fiducia, criteri premiali), si sovrappongono a istituti già compiutamente definiti, rischiando di creare confusione e contraddizioni a livello applicativo.

I soggetti dell’Accordo
L’articolo 2 dell’Allegato individua i soggetti potenzialmente firmatari dell’Accordo, genericamente indicati al comma 1 come «le parti coinvolte nell’esecuzione del contratto».

In primo luogo vengono individuati i soggetti dal lato della committenza. Il comma 2, lettera a), con una anomala commistione, indica la stazione appaltante e contestualmente il Rup e, ove previsto in relazione all’oggetto del contratto, il direttore dei lavori o dell’esecuzione, il coordinatore per la sicurezza, il progettista in caso di utilizzo della metodologia Bim.

Non si comprende bene la scelta di indicare contemporaneamente la stazione appaltante in quanto tale e una serie di soggetti che della prima sono espressione. Cosicchè non è chiaro chi dovrebbe rappresentare la stazione appaltante in quanto tale, posto che il Rup – al pari degli altri soggetti coinvolti nella fase esecutiva – è indicato in maniera distinta.

Dall’altro lato, le lettere b) e c) del comma 2 indicano come firmatari dell’Accordo l’appaltatore e i subappaltatori, subcontraenti e fornitori che siano coinvolti in misura significativa nella fase esecutiva.

Mentre i soggetti indicati sono parti necessarie dell’Accordo, è altresì prevista (comma 3) la possibile – ma non necessaria – adesione all’Accordo di ulteriori soggetti pubblici o privati in qualche modo coinvolti nella fase esecutiva. Al riguardo vengono esplicitamente citati gli investitori istituzionali – non essendo chiaro in che veste gli stessi possano rivestire un ruolo nella fase esecutiva – le amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizi e, in ogni caso, le amministrazioni e gli enti titolari del rilascio di pareri e autorizzazioni nonché gli enti gestori di interferenze.

Viene inoltre indicata una figura di coordinamento, il direttore strategico (comma 5). Quest’ultimo – indicato come soggetto imparziale e munito delle necessarie competenze e capacità organizzative – ha appunto il compito, ferma restando l’autonomia delle parti, di coordinare le attività delle stesse per migliorare la cooperazione. Peraltro, nulla è previsto in merito all’eventuale compenso del soggetto in questione, che è comunque un soggetto terzo rispetto a stazione appaltante e appaltatore.

Da ultimo, il medesimo comma 5 consente di coinvolgere nell’Accordo eventuali consulenti delle parti, con funzione di monitoraggio e di controllo.

Le criticità
Come detto all’inizio, lo strumento introdotto dal Dlgs 209 suscita più di una perplessità quanto all’impostazione e alla sua reale efficacia.

Va evidenziato al riguardo che, proprio indicando tali criticità, il Consiglio di Stato nell’ambito del Parere n. 1427 del 2 dicembre 2024 relativo allo schema di Decreto correttivo, aveva suggerito di soprassedere all’introduzione dello strumento nei termini delineati.

Il punto fondamentale di criticità – da cui derivano le perplessità e i dubbi sulla disciplina introdotta – è da ricondurre alla circostanza che l’Accordo di collaborazione si inserisce in un quadro normativo che già disciplina in maniera puntuale la fase esecutiva dei contratti, definendo obblighi e diritti delle parti, modalità per il loro esercizio, competenze e ruoli dei soggetti che intervengono in questa fase sia per conto della stazione appaltante che dell’appaltatore. E già definendo gli strumenti di risoluzione di eventuali controversie, sia in fase precontenziosa che contenziosa.

Ne consegue che la concreta operatività dell’Accordo di collaborazione è destinato a produrre inevitabili ambiti di sovrapposizione, con effetti che vengono a intersecarsi in maniera non sempre chiara con quelli prodotti da altri istituti e strumenti. Il rischio concreto è che, invece di semplificare ed accelerare la fase esecutiva, l’Accordo di collaborazione si traduca nell’imposizione di ulteriori oneri procedurali – che si aggiungono a quelli esistenti e già di per sé corposi – senza ottenere concreti benefici in termini di accelerazione.

In questo senso va sottolineato che la fase esecutiva dei contratti è incentrata su un confronto e un contraddittorio continuo che vede coinvolte le diverse figure che di volta in volta rappresentano l’ente appaltante e l’appaltatore. Il Rup e il direttore lavori da un lato, il responsabile di contratto e il Direttore operativo dall’altro agiscono secondo competenze e poteri che trovano nelle norme la loro chiara definizione.

Introdurre un’ulteriore sede di confronto rischia da un lato di complicare ulteriormente il processo; dall’altro di creare sovrapposizioni e anche contraddizioni di sistema.

Sotto questo profilo, la scelta del Dlgs 209 rischia di produrre una vera e propria eterogenesi dei fini, laddove invece di semplificare e accelerare il processo, lo stesso si complica e si rallenta. Occorrerà quindi verificare se gli enti appaltanti, alla luce di queste criticità e tenuto conto della facoltatività dello strumento, decideranno comunque di utilizzarlo ovvero riterranno piò opportuno continuare a ricorrere a strumenti più tradizionali e collaudati.

 

 

 

FONTI      Roberto Mangani    “Enti Locali & Edilizia”

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