I risultati di un’indagine Luiss tra 5.104 stazioni appaltanti e 217 imprese. De Micheli: avanti sulla qualificazione Pa
Ci saranno anche posizioni differenti sul peso delle criticità che impattano di più sull’indiscutibile difficoltà a far fruttare gli investimenti in opere pubbliche. C’è chi indica per primo la bulimia e il caos normativi, chi le difficoltà che si incontrano ad aggiudicare le gare, chi mette nel mirino l’incapacità di programmare, chi la carenza di una solida progettazione, chi la frammentazione e la mancanza di personale tecnico delle stazioni appaltanti. Senza dimenticare il ruolo dell’Anac, che per qualcuno avrebbe aumentato il timore di incorrere in sanzioni piuttosto che facilitare le amministrazioni a prendere la decisione giusta.
La «reductio a unum» delle ragioni che bloccano i cantieri è un esercizio impossibile (e dunque forse anche inutile). Ma su una cosa tutti i ragionamenti tendono a collimare: le strategie messe in campo dai vari governi negli ultimi anni per risolvere la questione non hanno colto nel segno. Non ha di sicuro funzionato il codice appalti del 2016 che «risulta di difficile applicazione e ha rallentato la realizzazione degli investimenti» aggravando «gli adempimenti burocratici». Ma l’onda di scetticismo coinvolge anche il recente decreto Sblocca-cantieri e le norme anticorruzione.
I giudizi arrivano dall’indagine realizzata da Conferenza delle Regioni, Confindustria, Ance e Luiss sul «Perché in Italia le opere pubbliche sono ferme». Lo studio, presentato ieri nel corso di un evento on line, ha coinvolto 5.104 stazioni appaltanti e 217 operatori economici . «La sfiducia nel quadro normativo e soprattutto nella stabilità delle regole – ha sottolineato Bernardo Giorgio Mattarella, ordinario di Diritto amministrativo alla Luiss, illustrando i dati – è una delle cause principali tra quelle citate soprattutto dai funzionari pubblici meno giovani». Come se «le norme sui contratti pubblici si preoccupassero più della forma che di raggiungere un risultato». I funzionari pubblici (Rup) additano la fase di aggiudicazione delle gare come la principale responsabile dei ritardi (58%). Anche per le imprese (37,3%) questa è un momento particolarmente critico. Gli operatori indicano però anche altri nodi. Per esempio la debolezza della progettazione (25,3%) e della programmazione (16,1%). Mentre vengono stranamente poco citati sia dalle Pa (14,7%) che dalle imprese (12%) i tanti ostacoli che pure sorgono a cantieri già aperti (fase esecutiva).
Nessuno ha citato in negativo le decisioni politiche che stanno a monte delle opere. E che invece secondo la ministra delle Infrastrutture Paola De Micheli sono la causa principale dello stallo. Più di «burocrazia e eccesso di norme che pure rappresentano delle criticità». La ministra ha confermato la volontà ad andare avanti sulla qualificazione delle stazioni appaltanti (oggi circa 40mila) una volta superata l’emergenza legata al lavoro sul Recovery fund. E anche ad attuare il decreto Semplificazioni, piuttosto che mettere mano a nuovi interventi normativi, invocati invece dal governatore della Liguria (e vice presidente della Conferenza delle Regioni) Giovanni Toti, che ha evocato il rischio di realizzare «opere già vecchie» con le risorse europee.
Tema ripreso anche dal coordinatore della commissione Infrastrutture delle Regioni Fulvio Bonavitacola che ha puntato il dito contro il Dl Semplificazioni: «È lo zero assoluto, una banalità», ha attaccato. Un giudizio negativo condiviso anche dai costruttori preoccupati in particolare dagli effetti sul mercato. «Quel decreto è la deregulation più totale – ha sottolineato il vicepresidente dell’Ance Edoardo Bianchi –. Viaggiamo al ritmo di uno sblocca cantieri l’anno ma tutte queste scorciatoie non hanno portato da nessuna parte» Per Bianchi bisogna combattere la «presunzione di colpevolezza che colpisce ingiustamente non solo le imprese ma anche gli amministratori pubblici che si occupano di appalti». Poter contare su un quadro regolatorio «chiaro, semplice e stabile», invece che su norme straordinarie è anche la richiesta che è arrivata da Confindustria per bocca di Stefan Pan.
La «stabilizzazione dell’impianto normativo», dopo gli anni della riforma continua, è anche il primo obiettivo da perseguire per il presidente dell’Anac Giuseppe Busia, che ha invitato il Governo a non concentrare l’attenzione solo sulle regole che governano le procedure di gara. «Non è questo l’elemento più critico – ha sottolineato Busia –. Piuttosto pesano i buchi nella fase di programmazione e progettazione che poi riverberano i loro effetti negativi durante la costruzione delle opere», rallentando i lavori. Allora perché il 58% dei Rup cita proprio la gara come fase più critica? «Perché – ha provato a rispondere il consigliere di Stato Giulio Veltri – la gara si svolge sotto i riflettori di giudici e avvocati e per questo rappresenta un problema per le amministrazioni, per dirigenti e funzionari. Li espone all’esterno nei confronti delle imprese, impegna la loro responsabilità erariale. Le vere criticità però si nascondono nelle fasi di progettazione ed esecuzione, quando i riflettori sono spenti».
FONTI: Mauro Salerno Edilizia e Territorio