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L’Italia delle complicazioni e le soluzioni mancate

 

La semplificazione è senz’altro il pilastro più importante di una riforma della pubblica amministrazione. Ogni tanto un convegno, un dibattito preelettorale o un programma di governo riportano in auge il tema, ma di semplificazione legislativa e amministrativa si parla dalla nascita dello Stato unitario.

Mentre le innovazioni investono inesorabilmente l’economia e la società, il settore pubblico si confronta ancora con ritardi importanti che si fondano su un retaggio culturale volto a difendere ruoli, poteri e spazi e discrezionalità patologiche che riconoscono piccoli poteri, ma non autorevolezza, e che rendono ancora più fragile il nostro Paese.

Vi sono resistenze interne alla semplificazione fondate sulla paura di dover scegliere, di dover gestire con la buona discrezionalità fattispecie nuove e complesse. Le complicazioni normative e amministrative sono spesso frutto di compromessi e di non decisioni tra ministeri o tra maggioranza e opposizione, ma creano quell’incertezza utile per prendere tempo e attendere qualche parere o sentenza.

Oggi emerge la necessità di rendere competitivo il nostro Paese e non fiaccarlo con norme e provvedimenti oscuri. Nel Piano nazionale di ripresa e resilienza la semplificazione amministrativa è considerata una riforma trasversale abilitante l’attuazione del Pnrr. È evidente che nonostante le politiche di semplificazione normativa e amministrativa comunque sperimentate in Italia nell’ultimo decennio, questi sforzi non hanno prodotto effetti concreti in termini di rimozione di vincoli, aumento della produttività del settore pubblico e facilità di accesso di cittadini e imprese a beni e servizi pubblici.

Utile quindi fare una disamina sullo stato dell’arte in materia.

Il ddl per la semplificazione presentato recentemente dal Governo reca diverse misure di semplificazione e digitalizzazione dei procedimenti in materia di attività economiche e di servizi a favore dei cittadini e delle imprese. Un segnale utile che speriamo non venga dimenticato dai calendari parlamentari.

L’intelligenza artificiale se non sarà rallentata da leggi e dalle paure delle burocrazie potrà smontare i processi decisionali lunghi che il nostro sistema a più livelli di governo ci ha regalato e aiutare finalmente la revisione dei processi amministrativi per liberare tempo e risorse. C’è in merito grande fiducia, ma al contempo abbiamo timori e scarso impegno. Si mantengono in vita tempi di conclusione dei procedimenti risalenti a oltre trenta anni fa e difesi a spada tratta dai dirigenti pur nell’era dello Spid, della firma digitale, degli algoritmi eccetera. È finita l’era dei testi unici e occorre rintracciare le disposizioni in uno dei tanti decreti legge o nelle leggi di conversione. Le analisi di impatto della regolamentazione, analisi tecnico normative, le relazioni tecniche allegate ai provvedimenti sono poche e inconsistenti. Le Zes (zone economiche semplificate) non hanno avuto il successo atteso, nonostante i decreti e le norme in materia. Si continua senza pudore alcuno a scrivere norme nelle quali i soggetti, le fattispecie e i comportamenti regolati non vengono richiamati descrivendoli nella loro realtà, ma attraverso rinvii ad altre norme che contengono la descrizione. Sperando comunque in un rinvio puntuale (al comma o periodo specifico), comunque occorre possedere una buona banca dati giuridica per districarsi e capire la volontà del legislatore.

Nel frattempo, si è aggiunto altro. Le diverse crisi che si sono succedute negli ultimi anni hanno spinto i governi ad abusare nel ricorso ai decreti legge, spesso dei veri e propri omnibus, rendendo ancora più complesso e inaccessibile l’accesso alle disposizioni vigenti senza ricorrere ad esperti.

Utile segnalare come a complicare il quadro si è aggiunto negli anni il proliferare di definizioni di “pubblico”, che vanno oltre lo storico, articolo 1, comma 2, del Dlgs 165/2001.

Da veri apprendisti stregoni, poco attrezzati, i nostri legislatori utilizzano le crescenti definizioni di “pubblico” in maniera casuale e fortuita, se non con dolo quando cercano per mania di grandezza di ampliare l’ambito soggettivo delle norme.

Oggi alla definizione classica di pubblica amministrazione ricavabile dal decreto del 2001, si non aggiunte altre definizioni, come l’organismo di diritto pubblico proveniente dalla normativa comunitaria sugli appalti o la definizione economico finanziaria di Pa, anche questa di fonte comunitaria. Quest’ultima preferita per individuare l’ambito soggettivo più ampio di qualsiasi normativa pur non avendo finalità di finanza pubblica. Ma abbiamo anche i gestori di pubblici servizi, soggetti privati “controllati” o “partecipati”, così come enti di interesse pubblico o attività di pubblico interesse. Il tutto da interpretare ovviamente in maniera estensiva.

Nell’utilizzare i diversi termini in maniera indistinta è aumentata l’incertezza del diritto, generando confusione, sovrapposizione e aumento degli adempimenti. Fenomeno quest’ultimo che ha interessato in particolar modo i corpi intermedi, che si sono trovati ad avere norme e regolamenti maggiori delle pubbliche amministrazioni classiche. Quelle di settore e quelle di carattere generale.

Così anche i corpi intermedi passano oggi più tempo a rispettare procedure, regolamenti e adempimenti, che ad ampliare e migliorare i servizi erogati.

 

FONTI       Francesco Verbaro       “Enti Locali & Edilizia”

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